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Residenza a Torino, fra “atti dovuti” e diritti al ribasso

Sono circa 600 e vivono in sette case occupate una parte dei  potenziali beneficiari della delibera comunale per la residenza dei rifugiati senza domicilio stabile, un “atto dovuto” ma con prospettive al ribasso per quanto riguarda i diritti cui darà accesso.  Intanto, si fa quel che si può con le “lettere di domicilio”…

Torino, la casa occupata di via Bologna (foto F. Meloni).

Si possono stimare a circa 600 i rifugiati (rifugiati in senso stretto o persone con status di protezione sussidiaria o umanitaria) che ad oggi vivono precariamente in case occupate a Torino.

Ssecondo dati in via di pubblicazione sul nuovo rapporto annuale dell’Ufficio pastorale migranti torinese (Upm), le case occupate sono sette: quattro palazzine dell’ex Moi (il villaggio olimpico), tre delle quali occupate nella primavera del 2013 e una nell’estate successiva da persone arrivate in Italia in seguito all'”emergenza Nord- Africa” (in tutto i quattro edifici contano oggi circa 450 abitanti); l’occupazione “storica” di via Bologna, la meno recente (risale al 2007), con circa 50 sudanesi, etiopi, eritrei; la “casa bianca” di via Revello, con circa 50 eritrei, sudanesi e somali (dal 2008); e la caserma abbandonata dei vigili urbani all’inizio di corso Chieri, dove nel 2010 le forze dell’ordine fecero accompagnare un gruppo di rifugiati sgombrati dall’ex caserma di via Asti e dove oggi vivono ancora circa 50 somali.

Difficili da quantificare, invece, le presenze di rifugiati senza domicilio stabile che non vivono in case occupate, in particolare pakistani, afgani e del Bangladesh.

Le dimensioni di queste ultime presenze e dei gruppi delle case occupate dipendono anche dalla pausa invernale dei lavori stagionali nelle campagne del torinese e del Piemonte. Ma sono il frutto, in particolare, da un lato di “emergenze” varie concluse solo sulla carta, senza l’offerta di reali percorsi di integrazione, e dall’altro di un sistema d’asilo cronicamente insufficiente.

Un atto dovuto…

Comunque sia, da tre settimane questi gruppi rappresentano i potenziali beneficiari della delibera della Città di Torino sulla residenza per i titolari di protezione internazionale od umanitaria «senza fissa dimora o senza tetto» approvata lo scorso 23 dicembre.

Una “nobile” iniziativa di welfare locale, quest’ultima? Non esattamente. Ha affermato Gianluca Vitale, avvocato dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione): «Diciamo che questo provvedimento copre un buco, ma in fondo non fa altro che rispettare la normativa, il Testo unico sull’immigrazione e la Convenzione di Ginevra, che chiedono parità di condizioni per rifugiati e cittadini. Un atto dovuto, in sintesi». 

… verso diritti al ribasso?

La Sala Rossa, sede del Consiglio comunale di Torino.

Intanto, già si profila un’attuazione al ribasso per quanto riguarda i diritti a cui la concessione della residenza darà accesso. Un ordine del giorno approvato lo stesso 23 dicembre dal Consiglio comunale, frutto di una mediazione che ha avuto come protagonista lo stesso sindaco Fassino, impegna sindaco e Giunta ad «attivarsi» con la Regione per una modifica del regolamento che fino ad oggi assegna 2 punti aggiuntivi ai rifugiati nelle graduatorie per gli appartamenti popolari.

Si prevede, come detta l’ordine del giorno, «la possibilità per i profughi e i rifugiati di rientrare nella condizione di emergenza abitativa solo laddove ricorrano le medesime condizioni degli altri cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti». Probabile traduzione: addio ai 2 punti aggiuntivi (e alle agevolazioni per un tetto decente dopo mesi o anni in casa occupata).

E in attesa si fa quel che si può col “domicilio”

Dall’Upm, nel frattempo, arrivano due dati che illustrano la “fame” di residenza tra i rifugiati che vivono senza un domicilio stabile a Torino. Il Punto di domande (cioè il centro di aiuto dell’Upm per le procedure d’asilo e l’orientamento ai servizi destinato a richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione internazionale ed umanitaria) nel 2013 ha redatto 168 “lettere di domicilio”, offrendo un domicilio “virtuale” in via Porporati 3, la sede del Punto.

Questi documenti hanno permesso ad altrettanti rifugiati, grazie a un accordo informale tra l’Upm e  la Questura (che però offre questa possibilità solo ai rifugiati e ai titolari di protezione internazionale e umanitaria che hanno avuto il loro primo permesso in Piemonte) di avere almeno, attraverso il domicilio, la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e di non perdere  la tessera sanitaria.

Nei soli ultimi mesi del 2012, quando il servizio è partito, le lettere redatte erano state già 50.

Leggi anche su Vie di fuga

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