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“Lasciati a morire” nel 2011: la verità è ancora lontana

Opacità, reticenze, omertà istituzionale: è quanto ha trovato, ancora una volta, la seconda tranche di indagini dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sul gruppo di migranti «left to die», lasciati a morire, su un gommone al largo della Libia nella primavera del 2011.

L'itinerario e la deriva del gommone abbandonato a se stesso al largo delle coste libiche nel marzo-aprile 2011 (fonte: Consiglio d'Europa 2012).

«Malgrado indagini ininterrotte, mie e di altri, gli interrogativi cruciali dell’aprile 2012 rimangono ancora senza risposta. Ho ricevuto dinieghi alle mie interrogazioni, rinvii alla Nato e alle autorità dei suoi Paesi membri e, in alcuni casi, nemmeno un cenno di risposta:  non avendo poteri giudiziari, in particolare su questioni militari, non è stato possibile esigerlo. D’altro canto, anche le azioni legali e le richieste formali in nome della libertà di informazione avviate e presentate in vari Paesi Nato coinvolti nella vicenda non sembrano ottenere risultati».

Opacità, reticenze, omertà istituzionale: è quanto ha trovato, ancora una volta, la seconda tranche di indagini della commissione Migrazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) sul gruppo di migranti «left to die», lasciati a morire, su un gommone inspiegabilmente abbandonato a se stesso nelle acque al largo della Libia nella primavera del 2011:  il 26 marzo di quell’anno su quel natante salparono in 72 dalla Libia, uomini, donne e bambini e, dopo 15 giorni in mare, 63 di loro persero la  vita.

“Ma come facevano a (non) comunicare?”

In un rapporto appena presentato a Strasburgo con il titolo The “left to die” boat: actions and reactions, la relatrice della commissione Migrazione, la parlamentare olandese Tineke Strik, ha fatto il punto sugli sviluppi seguiti alla risoluzione dell’Apce n. 1872/2012 Lives lost in the Mediterranean Sea: who is responsible?, dedicata al mistero delle unità navali e aeree che, stando alle testimonianze, avrebbero potuto soccorrere quei migranti in tempo ma non lo fecero: si tratta di un elicottero non identificato che si limitò a far scendere sul gommone delle provviste, senza più ritornare, e di un vascello militare di grossa stazza che ignorò le richieste d’aiuto del natante e che pure è rimasto non identificato. Nella zona si sa che erano presenti la fregata spagnola “Mendez Nuñez” e il pattugliatore “Borsini”, italiano.

Per quanto riguarda la documentazione reticente offerta dalla Nato, si legge nel rapporto, «si segnalano preoccupanti lacune che non rendono possibile (…) una visione d’insieme sulle informazioni circa le  difficoltà (del gommone): quali furono condivise e fra chi?»... Non si è nemmeno riusciti a stabilire «quale sistema di comunicazione i Paesi alleati usassero, e come possano comunicare fra loro dal momento che certi sistemi di comunicazione non sono obbligatori».

L’impegno delle Ong

Nel frattempo con l’appoggio di alcune Ong, in particolare dell’International Federation for Human Rights (Fidh), sulla vicenda sono state intentate alcune cause giudiziarie in Italia, Francia, Spagna e Belgio, mentre in Canada, Regno Unito e negli Stati Uniti sono state presentate delle richieste formali in nome della normativa sulla libertà di informazione (Freedom of information, Fol).

A proposito delle “richieste Fol”: le autorità canadesi hanno risposto senza aggiungere nuovi elementi, trincerandosi dietro il segreto militare. Mentre quelle americane e inglesi non si sono nemmeno degnate di rispondere.

Abbiamo almeno imparato la lezione?

Tineke Strik (foto: Coe 2014).

In un capitoletto dal titolo significativo, “La lezione delle tragedie nel Mediterraneo: si è imparato qualcosa?”,  Tineke Strik riassume tra l’altro ciò che ha riscontrato per l’Italia: «A partire dall’operazione Mare nostrum l’Italia sembra aver adottato un nuovo approccio e interpreta le situazioni di difficoltà in mare in senso molto ampio, offrendo soccorsi tempestivi. Comunque, le risposte italiane alle mie domande sottintendono che il Paese non riconosce il fatto che secondo il diritto marittimo gli Stati hanno l’obbligo di attivarsi immediatamente in seguito a un Sos, sia che questo provenga dalla loro zona “di ricerca e soccorso” o meno».

Regole su ricerca & soccorso: lacune da colmare

Il rapporto The “left to die” boat: actions and reactions è stato adottato all’unanimità dalla commissione Migrazione e verrà discusso dall’Apce nella prossima sessione plenaria del 23-27 giugno. E nelle sue raccomandazioni sottolinea proprio la necessità, fra l’altro, di colmare a livello internazionale le lacune dell’inquadramento legale delle operazioni di ricerca e soccorso (search and rescue, Sar, ndr) nel Mediterraneo. In particolare, sulla «definizione  delle situazioni di difficoltà» e sull’«obbligo di rispondere immediatamente a un Sos, senza riguardo alla zona Sar di provenienza (nel caso del gommone left to die si trattava della Sar libica, ndr).

Allegato

Il rapporto The “left to die” boat: actions and reactions (Coe, giugno 2014, in inglese, file .pdf 200 kbyte)

Leggi anche su Vie di fuga

“Qualcuno sa. E quei morti avranno giustizia”

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