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La locandina di A world not ours

A world not ours – di Mahdi Fleifel – Documentario – Libano/Regno Unito/Danimarca 2012

* di Jacopo Baron “Oggi vivono in Libano circa 300.000 rifugiati palestinesi, eppure solo il 2% possiede un permesso di lavoro: la legge libanese impedisce ai palestinesi di accedere alla maggioranza delle professioni e coloro ai quali è concesso di lavorare guadagnano meno del minimo garantito. I rifugiati palestinesi, in Libano, non sono autorizzati a possedere proprietà e hanno accesso limitato al sistema sanitario e a quello legale. La maggioranza dei palestinesi risiede a Ein el-Helweh, campo del Libano meridionale costruito nel 1948 come riparo provvisorio post-Nakba. Ein el-Helweh è oggi il campo profughi più grande del Libano, con 70.000 rifugiati stipati in un singolo chilometro quadrato”.

A world not ours, primo lungometraggio di Mahdi Fleifel, descrive la storia di Ein el-Helweh e dei suoi abitanti attraverso la testimonianza dell’esperienza personale del regista, figlio e nipote di profughi palestinesi. La storia della vita nel campo viene ricomposta attraverso il montaggio di un vero e proprio diario filmato, una sorta di “album di famiglia” fatto di riprese amatoriali. Questi filmati diventano un prezioso documento storico grazie alla costanza e alla dedizione con le quali sono stati girati, prima dal padre del regista (anni Ottanta, Novanta) e poi, dopo il trasferimento della famiglia in Danimarca, dal regista stesso, durante i “ritorni estivi al campo”, come lui stesso li ha definiti.

Già documento inedito e interessante per via del carattere fortemente spontaneo delle riprese e delle persone ritratte, il film è reso ancor più importante dal contesto e dalle storie di resistenza quotidiana che racconta. Si viene così a sapere, attraverso il divertente ma mai superficiale tono utilizzato dal regista, del modo in cui nel campo vengono seguiti i mondiali di calcio – evento fautore di una vera e propria “ridefinizione identitaria” capace di trasformare i ragazzi palestinesi in brasiliani, italiani o tedeschi a seconda del tifo – così come si è informati del drammatico vissuto dello zio e dell’indomita coscienza del nonno – profugo dal 1948 – rispetto al suo Diritto al Ritorno.

Sebbene vengano dunque trattati con attenzione e rispetto tutti gli spunti imposti dalla vita quotidiana del campo, Fleifel non può fare a meno di concentrarsi, in corso d’opera, su quella da lui individuata come la storia personale principale del documentario, quella sulla quale lo stesso regista riflette e s’interroga più a lungo: la storia dell’amico Abu Eyad. È infatti attraverso la progressiva presa di coscienza della tragedia di Abu Eyad, bloccato nel campo e privo di qualsiasi stimolo od opportunità, che Fleifel arriva a percepire e a consegnarci una vivida testimonianza dei devastanti risultati che il prolungarsi di un infinito “tempo sospeso” produce nei corpi e nelle menti dei rifugiati palestinesi.

Con il documentario di Fleifel l’ingiustizia incisa nelle generazioni dei profughi palestinesi trova dunque una narrazione sincera e spontanea, priva di retorica per il semplice fatto che è essa stessa esperienza di prima mano, racconto di gesti quotidiani che sembrano permettere un’identificazione con i protagonisti. In questo, regista e spettatore tendono a condividere la stessa esperienza: avvicinati alle persone del campo da memorie condivise quali quelle raccontate dal filmino del compleanno, del mercato e dei caroselli fatti per festeggiare la vittoria della propria nazionale, sembra di vedere le differenze sparire, fino a poter permetterci di dire “i rifugiati sono come noi”. Ma non è così. Ed è questa l’amara verità che Fleifel infine scopre, portando a compimento un’opera che è anche una critica a sé stesso. Abu Eyad infatti, a differenza sua, è bloccato nel campo. E il nonno, a differenza sua, non potrà mai tornare a casa. Ed è in questo modo che l’empatia, ricostruita attraverso una quotidianità condivisa, finisce per generare nel regista-spettatore quell’intensa tristezza e quella giusta indignazione che una tale, enorme ingiustizia dovrebbe sempre provocare. In sostanza, A world not ours è un documentario imperdibile per chiunque si voglia interessare della condizione dei rifugiati palestinesi. Esso permette un primo avvicinamento alla materia, fornisce nuovi strumenti d’analisi per i più informati e riesce a trasmettere significati forti senza scadere in esaltazioni retoriche, tanto più pericolose quanto facilmente criticabili.

Mahdi Fleifel, regista, sceneggiatore e produttore palestinese, è nato a Dubai nel 1979. Ha vissuto la sua infanzia nel campo per rifugiati di Ein el-Helweh, in Libano, e poi in Danimarca. Si è laureato alla National Film and Television School di Londra, dove vive e lavora. A world not ours (2012) è il suo primo lungometraggio.

Premi e riconoscimenti:

2012 – Abu Dhabi Film Festival – Emirati Arabi Uniti – Best Documentary
2013 – Berlinale – Germania – Peace Film Award
2013 – Millenium Film Festival – Belgio – Objectif d’Or

Prossime proiezioni:

International Documentary Film Festival Amsterdam
http://www.idfa.nl/industry/tags/project.aspx?id=4f57efcd-3141-411c-86a2-c75f52c47f51
Frontline Club – Londra
http://www.frontlineclub.com/a-world-not-ours/

 

 

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