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Procedure, iter burocratici, moduli e modelli, tempistiche e scadenze: il percorso di un richiedente asilo in Italia risulta più complesso sulla carta che nella realtà effettiva dei fatti. In questo ambito si traccerà una guida generale, di mero carattere burocratico-amministrativo, volta a descrivere i passaggi obbligati a cui si trova di fronte il richiedente asilo sul suolo italiano. Fondamentale ricordare che, non esistendo una normativa unica sul rifugio, i passaggi qui descritti possono leggermente variare da Questura a Questura o da ente a ente. Essenzialmente la domanda d’asilo è compresa fra quattro momenti:

  1. la domanda d’asilo presso la Polizia di Frontiera o una Questura italiana;
  2. il foto segnalamento e la compilazione del modello C3 presso la Polizia di Frontiera o la Questura italiana in cui si è inoltrata la domanda;
  3. l’audizione presso la Commissione Territoriale di competenza, organo preposto al riconoscimento o diniego della domanda d’asilo;
  4. l’acquisizione della decisione della Commissione Territoriale.

Ognuno di questi quattro momenti non è a se stante ma correlato agli altri dalla Questura che prende in carico la domanda d’asilo e che deve seguire il richiedente fino al momento della acquisizione della decisione. Cioè è la Questura che deve garantire il collegamento fra il richiedente e la Commissione Territoriale, garantire che il richiedente sia debitamente informato dei suoi diritti e dei suoi doveri, fissare le date e gli appuntamenti affinché il richiedente possa concludere con successo l’iter di domanda in Italia.

  

1. Quali sono i passi che un richiedente asilo deve fare?

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Il primo passo è palesare la volontà di fare richiesta di asilo. È possibile presentare richiesta di protezione internazionale presso l’Ufficio di Polizia di Frontiera all’atto dell’ingresso nel Territorio nazionale o presso l’Ufficio della Questura competente in base al luogo di dimora. L’aspirante richiedente asilo deve quindi recarsi nella Questura di competenza o presso la Polizia di Frontiera e avviare tutte le pratiche. Fondamentale ricordare che in Italia non esiste nessuna scadenza per fare domanda di asilo, ovvero si può essere presenti sul territorio italiano da mesi o anni e decidere comunque di inoltrare domanda di asilo (ad esempio perché la situazione nel Paese di origine si è modificata).

Secondo la legislazione europea, cioè secondo il Regolamento di Dublino III non può essere scelto autonomamente il paese in cui avviare le pratiche d’asilo. Il Regolamento Dublino III stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata, in uno degli Stati membri, da un cittadino di un paese terzo. La competenza di uno Stato è legata a differenti situazioni , ad esempio:

  1. se è il primo paese in cui il richiedente è entrato irregolarmente
  2. se è il paese che ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto d’ingresso
  3. se è il paese in cui si trova un familiare che sia già stato riconosciuto rifugiato o che abbia fatto domanda d’asilo
  4. se è il paese in cui si trova un familiare e il richiedente è un minorenne entrato in Europa attraverso un altro paese.

La verifica di competenza dell’Italia, per l’esame della domanda d’asilo, è eseguita dall’Unità Dublino, si tratta di un ufficio appositamente creato presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno che prende una decisione in base alle informazioni sul richiedente di cui dispone. Le informazioni sono fornite dalla Polizia che accoglie la richiesta di protezione internazionale. Nel tempo di attesa che occorre all’Unità Dublino per stabilire la competenza o meno dell’Italia la condizione del richiedente non cambia. Infatti lo straniero che si trova nella cosiddetta ‘fase Dublino’ si deve considerare a tutti gli effetti un richiedente asilo e deve avere accesso alle misure di accoglienza stabilite per legge.

Anche i cittadini stranieri che si trovano in un CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio), possono richiedere protezione internazionale e la Commissione Territoriale valuterà la loro istanza secondo una procedura accelerata.

2. A chi si rivolge?

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Alla Polizia italiana.

La domanda d’asilo è personale e deve essere fatta o presso la Polizia di frontiera o presso una qualsiasi Questura, nell’ufficio immigrazione. Le due possibilità si legano al momento in cui si avvia la pratica: o al momento di arrivo sul suolo italiano (Polizia di frontiera) oppure successivamente, in un qualsiasi altro tempo, se il richiedente si trova già in Italia (Questura di competenza). La presentazione della domanda d’asilo è automaticamente estesa ai figli minori non coniugati presenti sul territorio italiano.

Normalmente la richiesta d’asilo presso la Polizia prevede due differenti incontri o appuntamenti: il primo in cui viene effettuato il cosiddetto fotosegnalamento e il secondo in cui viene fatto compilare al richiedente il “Modello per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra” o Modello C3. Il secondo appuntamento riguarda la verbalizzazione della richiesta dell’asilo politico e sottostà all’articolo 15 del T.U.L.P.S. (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) per cui la non presentazione presso la questura comporta una sanzione amministrativa.

Fotosegnalamento

Il fotosegnalamento, presa delle impronte digitali e di fotografie segnaletiche, è previsto dalla legge italiana qualora il richiedente sia entrato senza visto, cioè in maniera irregolare nel territorio dello Stato. In realtà è prassi che ogni richiedente asilo, avente o meno documenti d’identità, sia sottoposto a questa pratica.

Modello C3

Il Modello C3 è il documento che permette la formalizzazione della domanda d’asilo ed è composto da una serie di domande riguardanti:

  1. i dati personali del richiedente (nome, cognome, nazionalità, data di nascita);
  2. dei suoi familiari (dati dei genitori, della moglie/marito, dei figli/e);
  3. il viaggio dal paese d’origine fino all’Italia;
  4. il racconto sintetico dei motivi per cui ha lasciato il paese d’origine.

È possibile aggiungere un foglio con il racconto della storia personale. Il modello C3 può essere scritto nella lingua madre del richiedente o in qualsiasi altra lingua veicolare che permetta la piena espressione. In ogni fase del procedimento, quindi anche successivamente alla stesura del modello C3, il richiedente asilo può inviare memorie e/o documentazione aggiuntiva alla Commissione Territoriale.

3. Che documenti deve mostrare?

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Tutti quelli in possesso.

La Questura chiede al richiedente quali documenti abbia in possesso e ne ritira gli originali consegnando unicamente una copia contrassegnata dal timbro “verbale di consegna”.

Tali documenti possono essere carte d’identità, passaporti, lasciapassare, visti, certificati vari, tessere di partito.

4. Chi gli garantisce un’informativa adeguata al caso?

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I funzionari della Questura hanno l’obbligo di informare il richiedente su tutte le fasi della procedura di domanda d’asilo, quindi sulla tempistica, sui documenti, sui diritti e sui doveri, sui mezzi a disposizione per accedere in piena sicurezza, comprensione e dignità all’iter. Ad esempio nel caso in cui il richiedente avesse difficoltà nell’espressione di sé e della propria vicenda, per motivi personali o semplicemente per analfabetismo, deve essere messo in condizione di potere superarle.

La Questura redige il verbale riportante le dichiarazioni del richiedente (modello C3), allega tutta la documentazione raccolta, e lo sottopone, per avere firma e approvazione, al richiedente a cui deve venire rilasciata, in istanza finale, una copia. Tale dossier personale viene inviato alla Commissione Territoriale di competenza ed è anche il materiale su cui si basa la decisione della stessa nel caso in cui il richiedente non si presenti all’audizione senza un giustificato motivo.

Qualsiasi comunicazione inerente la domanda d’asilo (come per esempio le convocazioni e le decisioni prese dalla Commissione Territoriale, la richiesta di documentazione ulteriore, il trasferimento in un altro paese e così via) deve essere fatte nella lingua del richiedente asilo.

5. Quanto deve attendere?

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In Italia non è possibile stabilire una tempistica unica.

Normalmente la tempistica per chi si presenta autonomamente presso una Questura italiana è così suddivisa:

fase 1 – la Questura prede in carico la domanda d’asilo fissando un appuntamento con il richiedente per l’espletamento dell’iter burocratico, finalizzato all’identificazione (fotosegnalamento e modello C3);

fase 2 – la Questura fissa l’audizione presso la Commissione Territoriale, a seconda del calendario della stessa, e informa il richiedente con una comunicazione scritta;

fase 3 – la Questura contatta il richiedente e fissa un appuntamento per la consegna del verdetto della Commissione Territoriale.

6. Che cos’è e cosa fa la Commissione Territoriale?

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Il nome per esteso è Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale e si tratta di un organismo nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Interno. È composta da 4 membri:

  • 1 rappresentante della carriera prefettizia, con funzioni di presidente,
  • 1 funzionario della Polizia di Stato,
  • 1 rappresentante di un ente territoriale (comune, provincia, regione facente capo alla sede della Commissione Territoriale),
  • 1 rappresentante dell’UNHCR.

Per ciascun componente sono nominati uno o più supplenti. La carica ha una durata triennale ed è rinnovabile.

Le Commissioni Territoriali hanno il compito di esaminare, valutare e decidere circa le domande d’asilo presentate alle autorità competenti in Italia. Esse sono validamente costituite con la presenza della maggioranza dei componenti e le delibere devono essere fatte con il voto favorevole di almeno tre componenti. In caso di parità prevale sempre il voto del presidente.

Lo strumento utilizzato per valutare e decidere circa le domande d’asilo è l’audizione. Si tratta di un’intervista, composta di due fasi. Nella prima fase un rappresentante della Commissione sottopone il richiedente a qualche domanda per conoscerlo meglio e per raccogliere delle informazioni di base, molto semplici come, per esempio, la composizione della sua famiglia o se ha studiato: queste domande aiuteranno la Commissione a farsi un’idea del contesto generale in cui viveva nel suo Paese. Finita questa parte, la Commissione gli chiederà per quale motivo ha lasciato il suo Paese e perché pensa di non poter fare rientro in quest’ultimo.
Il richiedente può sostenere l’audizione nella sua lingua madre o comunque nella lingua da lui indicata al momento della formalizzazione della domanda di protezione internazionale. Il giorno dell’audizione, troverà un interprete indipendente che ha l’esclusivo compito di tradurre letteralmente tutto ciò che viene detto e di rileggergli, a fine intervista, il verbale dell’audizione.
È importante che il richiedente sappia che tutto ciò che racconta durante l’intervista non può essere rivelato a terze parti e, senza la sua autorizzazione, rimane segreto. 

Si tratta di un colloquio personale (seduta non pubblica) fra i membri della Commissione Territoriale e il richiedente asilo. Vi sono tuttavia particolari situazioni, previste dalla legge, che ammettono la presenza al colloquio di terze persone, come l’avvocato, nel caso il richiedente ne sia assistito, come il personale di sostegno, nel caso il richiedente sia portatore di particolari esigenze oppure nel caso di minori di uno dei due genitori e in loro assenza del tutore. È possibile chiedere di sostenere l’audizione con un solo membro della Commissione, dello stesso sesso del richiedente.

L’audizione verte sulle stesse domande del modello C3 e cerca di approfondire soprattutto la parte concernente i motivi per cui è stato lasciato il paese d’origine e i motivi per cui non è più possibile (sia per una questione di impossibilità esterna che per motivi di volontà personale) farvi ritorno in condizioni di sicurezza.

La Commissione Territoriale prima dell’audizione può:

  1. sottoporre ad un esame prioritario una domanda d’asilo quando essa è da ritenersi palesemente fondata e quando la situazione del richiedente è particolarmente delicata per motivi di vulnerabilità. In questi casi l’asilo è concesso senza che il richiedente debba comparire davanti alla Commissione e sostenere l’audizione. L’esame prioritario è concesso anche ai richiedenti asilo trattenuti nei CIE e sottoposti ad un provvedimento di espulsione. In questi casi la Commissione deve fissare l’audizione entro 7 giorni dalla ricezione della documentazione e adottare una decisione nei successivi 2 giorni.
  2. dichiarare inammissibile una domanda e non proseguire nell’esame quando si tratti di un rifugiato riconosciuto oppure quando ci si trovi davanti ad un diniego che non ha prodotto una nuova documentazione o su cui sussistano fatti innovativi;
  3. decidere di sospendere e di rinviare l’audizione per vari motivi come il reperimento di documentazione, il ritenere che il richiedente non è in grado di sostenere il colloquio oppure perché sussistono problemi di comunicazione con l’interprete.

La Commissione Territoriale deve:

  1. non far trapelare le dichiarazioni rilasciate durante l’audizione dai richiedenti (così come le dichiarazioni fatte in Questura esse sono da ritenersi strettamente personali e pertanto non divulgabili);
  2. esaminare alla luce di notizie precise e aggiornate ogni singolo caso in relazione alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente asilo e, dove occorre, nei paesi in cui esso è transitato;
  3. consegnare, a fine audizione, al richiedente una copia, da sottoporre alla sua firma e conseguente accettazione, del verbale dell’audizione;
  4. decidere circa la domanda d’asilo entro i successivi 3 giorni dall’audizione e darne informazione immediata alla Questura che la notificherà al richiedente.

La Commissione Territoriale, tramite provvedimento scritto e motivato, può riconoscere:

lo Status di Rifugiato. La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce il rifugiato come la persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova
fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese.

lo Status di Protezione Sussidiaria. Esso viene riconosciuto al “cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine (o
nel paese di domicilio se apolide), correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno”. Per “danno grave” si intendono la condanna a morte, l’esecuzione, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, la minaccia grave e individuale
alla vita. Per esempio, beneficiano di questa protezione coloro che provengono da determinate zone ove è in essere un conflitto.

la Protezione speciale: in tali circostanze la Commissione Territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di tale permesso di soggiorno, di durata biennale, che consente di svolgere attività lavorativa e che, grazie alle novità introdotte dal
D.L. 130/2020, è
convertibile in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Per esempio, beneficiano di questa protezione le persone che non possono essere respinte ma non rientrano in altre forme di protezione
.
di rigettare la domanda di protezione internazionale.

7. Quali diritti e doveri ha il titolare dello status di rifugiato? E il titolare di protezione sussidiaria? E il titolare di protezione speciale?

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Il titolare dello status di rifugiato ha il diritto di:
• richiedere all’Ufficio Immigrazione il rilascio del permesso di soggiorno per asilo, che ha una validità di cinque anni ed è rinnovabile. Questo permesso di soggiorno permettedi lavorare e studiare;
• può essere accolto in un centro di seconda accoglienza diffusa, quali sono i SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), e può godere delle misure attive volte all’integrazione e all’inclusone sociale nel Paese;
• può muoversi nello spazio Schengen, in esenzione del visto, per un massimo di tre mesi;
• dopo 5 anni dalla formalizzazione della domanda di protezione, ovvero da quando ha compilato il modello C3 in Questura, se risponde a determinati requisiti, può chiedere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, che è a tempo illimitato e
consente di soggiornare, anche per motivi di lavoro, in un altro Paese Schengen per un periodo anche superiore ai 90 giorni, nel rispetto delle norme vigenti nell’altro Paese Schengen;
• di richiedere la cittadinanza italiana con tempi più brevi (dopo 5 anni di residenza in Italia) e requisiti semplificati rispetto agli altri cittadini stranieri;
• di ottenere il documento di viaggio, documento equipollente al passaporto che – in ragione del suo status – non può richiedere alle autorità del Paese d’origine;
• ha accesso ai diritti fondamentali dei quali ogni individuo ha la titolarità ed è equiparato ai cittadini italiani nell’accesso al diritto all’alloggio, all’assistenza sociale, all’istruzione, al lavoro. Può, per esempio, iscriversi alle liste per l’edilizia residenziale pubblica, frequentare corsi di formazione professionale, iscriversi al servizio sanitario nazionale, etc … ;
• di ottenere il riconoscimento dei titoli di studio, anche se sprovvisto dell’originale o della copia del titolo. I beneficiari di protezione internazionale per l’ottenimento della dichiarazione di valore possono rivolgersi al Ministero degli Esteri, in particolare all’Ufficio VII della DGSP;
• di ricongiungere i familiari all’estero senza dover dimostrare i requisiti di reddito e alloggio;
• di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di famiglia ai familiari che non hanno individualmente diritto allo status, a cui vengono estesi i medesimi diritti;
Ha il dovere di:
• rispettare le leggi e i regolamenti del Paese in cui vive;
• rispettare le misure adottate per il mantenimento dell’ordine pubblico.

Il titolare di protezione sussidiaria ha diritto di:
• richiedere all’Ufficio Immigrazione il rilascio del permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, che ha una validità di cinque anni ed è rinnovabile. Questo permesso di soggiorno permette di lavorare e studiare;
• può essere accolto in un centro di seconda accoglienza diffusa, quali sono i SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), e può godere delle misure attive volte all’integrazione e all’inclusone sociale nel Paese;
• può muoversi nello spazio Schengen, in esenzione del visto, per un massimo di tre mesi;
• dopo 5 anni dalla formalizzazione della domanda di protezione, ovvero da quando ha compilato il modello C3 in Questura, se risponde a determinati requisiti, può chiedere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, che è a tempo illimitato e consente di soggiornare, anche per motivi di lavoro, in un altro Paese Schengen per un periodo anche superiore ai 90 giorni, nel rispetto delle norme vigenti nell’altro Paese Schengen;
• di richiedere la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza in Italia;
• di ottenere il titolo di viaggio, documento equipollente al passaporto che – in ragione del proprio status – non può richiedere alle autorità del Paese d’origine;
• ha accesso ai diritti fondamentali dei quali ogni individuo ha la titolarità ed è equiparato ai cittadini italiani nell’accesso al diritto all’alloggio, all’assistenza sociale, all’istruzione, al lavoro. Può, per esempio, iscriversi alle liste per l’edilizia residenziale pubblica, frequentare corsi di formazione professionale, iscriversi al servizio sanitario nazionale, etc … ;
• di ottenere il riconoscimento dei titoli di studio, anche se sprovvisto dell’originale o della copia del titolo. I beneficiari di protezione internazionale per l’ottenimento della dichiarazione di valore possono rivolgersi al Ministero degli Esteri, in particolare all’Ufficio VII della DGSP;
• di ricongiungere i familiari all’estero senza dover dimostrare i requisiti di reddito e alloggio;
• di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di famiglia ai familiari che non hanno individualmente diritto allo status, a cui vengono estesi i medesimi diritti;
Hai il dovere di:
• rispettare le leggi e i regolamenti del Paese in cui vive;
• rispettare le misure adottate per il mantenimento dell’ordine pubblico.

Il titolare di protezione speciale?
Ha il diritto:
• di avere un permesso di soggiorno per protezione speciale di durata biennale, rinnovabile dal Questore previo parere della Commissione Territoriale di competenza. Tale permesso di soggiorno è convertibile in permesso per motivi di lavoro;
• di chiedere un titolo di viaggio, se non può ottenere un passaporto dalle autorità del Paese d’origine;
• di svolgere attività lavorativa e di convertire il permesso di soggiorno in motivi di lavoro, come introdotto dal D. L. 130/2020;
• può essere accolto in un centro di seconda accoglienza diffusa, quali sono i SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), e può godere delle misure attive volte all’integrazione e all’inclusone sociale nel Paese;
• può iscriversi a corsi di lingua italiana, frequentare corsi di formazione professionale, iscriverti al servizio sanitario nazionale, accedere al mercato del lavoro, etc … ;
Ha il dovere di:
• rispettare le leggi e i regolamenti del Paese in cui vive;
• rispettare le misure adottate per il mantenimento dell’ordine pubblico.

8. Cosa sono e che funzione svolgono i centri d’accoglienza e i centri di permanenza e rimpatrio?

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La prima accoglienza è svolta in centri collettivi dove i migranti appena arrivati in Italia vengono identificati e possono avviare, o meno, la procedura di domanda di asilo. In particolare gli hotspot sono centri dove vengono raccolti i migranti al momento del loro arrivo in Italia. Qui ricevono le prime cure mediche, vengono sottoposti a screening sanitario, vengono identificati e fotosegnalati e possono richiedere la protezione internazionale.

Dopo una prima valutazione, i migranti che fanno domanda di asilo vengono trasferiti (in teoria entro 48 ore) nei centri di prima accoglienza, dove vengono trattenuti il tempo necessario per individuare una soluzione nella seconda accoglienza. Il sistema basato su hotspot e centri di prima accoglienza ha in teoria sostituito il precedente sistema basato su sigle che dovremmo ormai considerare superate: i vari CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), CDA (Centri di Accoglienza) e CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo).

Una volta transitati dagli hotspot e dai centri di prima accoglienza, i richiedenti asilo vengono assegnati alla seconda accoglienza, il Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) introdotto con la riforma Lamorgese. Il SAI sostituisce il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI), istituito con il Decreto sicurezza nel 2018, che a sua volta sostituiva il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), in vigore dal 2002 al 2018. Si tratta di un ritorno al passato, in quanto il SAI ritorna ai principi dello SPRAR, ossia a un’accoglienza più orientata all’integrazione.

I richiedenti asilo ricevono assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica, i titolari di protezione hanno anche servizi più esplicitamente rivolti all’integrazione e all’orientamento lavorativo. Se i posti nel SAI si esauriscono, si ricorre al sistema di accoglienza straordinaria, ossia i CAS.

I CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), sono concepiti come strutture temporanee da aprire nel caso in cui si verifichino “arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti” (Decreto Legislativo 142/2015, art. 11) che non sia possibile accogliere tramite il sistema ordinario. I CAS tuttavia sono nel tempo diventati la regola, e il loro nome è quanto mai improprio. Si tratta infatti non necessariamente di centri (si possono usare anche appartamenti, come nel SAI) e l’accoglienza è tutt’altro che straordinaria: si tratta infatti della modalità ordinaria in cui sono stati inseriti i migranti, almeno dal 2015 al 2020.

A differenza dei progetti SAI, gestiti da enti non profit su affidamento dei comuni, i CAS possono essere gestiti sia da enti profit che non profit su affidamento diretto delle prefetture. Ogni prefettura territoriale pubblica quindi delle gare d’appalto periodiche per l’assegnazione della gestione dei posti in modalità CAS.

9. Cosa succede se la domanda è respinta?

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È possibile ricevere un rigetto alla domanda di riconoscimento di protezione internazionale, che in particolari situazioni può essere dichiarata manifestamente infondata. Si ha quest’ultimo caso quando:
• la Commissione Territoriale ritiene che il colloquio personale non ha evidenziato alcuna connessione con il bisogno di protezione internazionale;
• se, il richiedente proviene da un Paese considerato sicuro dalle autorità italiane, e dopo aver avuto accesso alla procedura di asilo, la Commissione ritiene che, per la situazione personale del richiedente, non esistano gravi motivi per considerare questo Paese non
sicuro in caso di rimpatrio;
• se il richiedente ha consegnato dei documenti falsi e non ha ancora potuto spiegare le ragioni di questo comportamento;
• se ha rifiutato di registrare le impronte digitali.
Se il richiedente non è d’accordo con la decisione adottata dalla Commissione Territoriale, può chiedere al giudice di riesaminarla, facendosi assistere da un avvocato di fiducia. Per farlo, ha tempo 30 giorni, ridotti a 15 giorni nel caso in cui la Commissione nel rigettare la domanda abbia indicato che quest’ultima fosse espressione di “manifesta infondatezza”.
Se il richiedente non ha la possibilità economica di rivolgersi ad un avvocato, esiste la possibilità di farsi assistere gratuitamente. In via generale, il ricorso dà diritto a restare in Italia fino alla decisione del Tribunale. In alcuni casi particolari, come nel caso in cui la domanda è manifestamente infondata o il richiedente si trovi in un CPR, l’avvocato deve fare una specifica richiesta al giudice al fine di far rimanere in Italia il richiedente

10. Cosa succede se la domanda è accolta?

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La Commissione Territoriale rilascia un provvedimento attraverso cui il nuovo titolare di protezione internazionale può ritirare presso la Questura il permesso di soggiorno. Nel caso di rifugio politico ha una durata di 5 anni rinnovabile ad ogni scadenza, nel caso di protezione sussidiaria ha una durata di 5 anni, rinnovabile alla scadenza, nell’ultimo caso di protezione speciale il permesso ha durata di 2 anni. Tutti i permessi di soggiorno, in presenza di passaporto, sono convertibili alla scadenza in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

11. Può lo status di rifugiato trovare cessazione o essere revocato?

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Sì e l’organo preposto a questa decisione è la Commissione Nazionale per il diritto di asilo di Roma.

La cessazione avviene quando:

  1. il titolare di protezione si è avvalso della protezione del proprio Paese d’origine ad esempio rientrandovi sia per breve tempo che in maniera definitiva o chiedendo e ottenendo un passaporto;
  2. il titolare di protezione abbia riacquisito la cittadinanza del proprio Paese d’origine dopo averla persa;
  3. il titolare di protezione abbia acquisito cittadinanza italiana e di conseguenza la protezione dello Stato italiano;
  4. siano venute meno le condizioni che determinarono il riconoscimento del rifugio politico e il titolare (anche apolide) possa tornare in completa sicurezza nel proprio Paese di origine. I cambiamenti di circostanze che permetterebbero il rientro nel Paese di origine non devono essere temporanee ma tali da eliminare completamente le cause del fondato timore di persecuzione.

La revoca avviene quando:

  1. successivamente al riconoscimento, venga accertato che esso fu riconosciuto sulla base di fatti e/o circostanze presentati in modo erroneo o dalla volontaria omissione di altri fatti e/o circostanze o sulla base di una documentazione poi rivelatasi falsa.
  2. sussistono le cause di esclusione previste dalla Convenzione di Ginevra (ad esempio l’aver commesso un crimine contro l’umanità, contro la pace o un crimine di guerra, l’avere accertato che il rifugiato goda già della protezione o dell’assistenza di un organo e di una agenzia delle Nazioni Unite diversi dal U.N.H.C.R.), sussistono fondati motivi per ritenere che il rifigiato costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato italiano oppure si verificano circostanze per cui lo stesso venga a rappresentare un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per i reati previsti dal codice di procedura penale.

Anche lo stato di protezione sussidiaria può cessare o essere revocato secondo i motivi e criteri già descritti per il rifugiato politico. Per quanto riguarda la cessazione dello status in conseguenza al venir meno delle circostanze che hanno causato il riconoscimento è necessario dire che tale mutamento deve avere una natura così significativa da far ritenere che non possa più sussistere il rischio di danno grave in caso di rientro nel Paese di origine e che allo stesso tempo non sussistono altri gravi motivi di carattere umanitario che impediscano o rendano pericoloso tale rientro.

La decisione di cessazione e di revoca sia per i titolari di rifugio che per i titolari di protezione sussidiaria è presa sulla base di una valutazione esclusivamente individuale. Il titolare di protezione internazionale deve essere informato tempestivamente dell’avvio delle procedure e dei motivi che ne sono alla base in modo che esso possa intervenire a sua difesa ed eventualmente essere ascoltato in un colloquio.

12. Può il rifugiato fare ritorno volontario nel proprio Paese di origine?

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Sì è un diritto riconosciuto e tutelato. Tale diritto non è ascrivibile solo al titolare di rifugio ma anche al richiedente protezione internazionale, al diniegato, se non sono decorsi 30 giorni dalla data di notifica, al titolare di protezione sussidiaria e umanitaria.

Lo Stato italiano ha stabilito un programma di ritorno volontario assistito che dovrebbe prevedere: servizio di counselling, informazioni aggiornate sul paese di origine, assistenza per l’ottenimento di documenti di viaggio da parte delle autorità consolari preposte, organizzazione del viaggio e copertura delle spese fino alla destinazione finale, erogazione di un’indennità di prima sistemazione e di reintegrazione.

Non è possibile accedere al programma di rimpatrio se su colui o colei che lo richiede grava un provvedimento di espulsione.


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