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Balcani, si chiude /1: famiglie nel limbo e nel fango di Idomeni

Le storie e la voce di un gruppo di sette nuclei familiari siriani bloccati nei campi di Idomeni, al confine fra Grecia e Macedonia, all’inizio della “rotta dei Balcani” ormai quasi bloccata.

Bloccati a Idomeni, Grecia: alcuni membri del gruppo di sette nuclei famigliari (foto UNHCR, marzo 2016).
Bloccati a Idomeni, Grecia: alcuni membri del gruppo di sette nuclei famigliari (foto UNHCR, marzo 2016).

 

Sette famiglie di rifugiati dalla Siria: l’UNCHR ha dato loro voce, nei giorni scorsi, per raccontare la strozzatura della “rotta” dei Balcani occidentali a Idomeni, al confine fra Grecia e Turchia. Sono bloccate, accampate in cerchio, nei campi improvvisati vicino al paese.

I loro 35 membri fino a febbraio non si conoscevano. Hanno attraversato l’Egeo insieme su un gommone e oggi formano un gruppo solidale. E aspettano, perché la frontiera è quasi sbarrata. Tre dei nuclei familiari sono guidati da donne sole con figli: hanno il marito in Germania.

C’è una bambina di tre mesi, Rimaz. E una donna anziana di 85 anni, Rashida. Di origini palestinesi, da giovane Rashida aveva trovato asilo in Siria. Oggi un destino di fuga tocca anche ai suoi nipoti. La casa di famiglia, a Yarmuk, è stata rasa al suolo appena due mesi fa. «In Siria tutti noi che siamo qui, tutte queste persone, avevamo auto, e case, e un’istruzione», dice uno dei nipoti, Ghayth, 17 anni.

«Che cosa abbiamo fatto per meritarci questo?», chiede invece Ibrahim, fuggito da Yabrud, a Nord di Damasco, con la moglie e la figlia di tre anni. Rifiuta di dire il suo cognome perché in Siria ha due fratelli in carcere.

L'Egeo, poi Idomeni: per tanti la "rotta balcanica" oggi finisce qui (mappa UNHCR, marzo 2016).
L’Egeo, poi Idomeni (cliccare per ingrandire): per tanti la “rotta balcanica” oggi finisce qui (mappa UNHCR, marzo 2016).

Ha addosso gli stessi vestiti che aveva alla partenza da Izmir, in Turchia, due settimane fa. Come molti del gruppo, da allora è riuscito a farsi la doccia una volta sola. «Qui siamo come in una prigione, mentre in Siria l’alternativa era solo tra fuggire e combattere. Mio cognato ha una casa ad Amburgo, in Germania. Ci aspetta, ma non possiamo raggiungerlo».

Nei campi di Idomeni le code per ricevere qualcosa da mangiare durano ore. L’UNHCR ha messo a disposizione tende, tendoni, unità abitative di emergenza, ma, per sua stessa ammissione, ben al di sotto delle necessità. Un’unità mobile dell’Alto commissariato ONU offre consulenza legale. C’è l’assistenza di volontari.

Le autorità greche «fanno la loro parte», testimoniano ancora gli operatori dell’UNHCR, e lavorano all’allestimento di tre campi: 12.500 posti in tutto, ma rischiano di non bastare.

Infatti al collo di bottiglia di Idomeni, fra le tende e il fango, le stime UNHCR degli ultimi giorni calcolano già 12 mila tra rifugiati e migranti. Per la maggior parte famiglie. E per la maggior parte di nazionalità siriana e irakena. Perché agli afghani, seconda nazionalità di sbarco in Grecia, l’accesso alla Macedonia è ormai off limits in blocco: «Paese sicuro», è la parola d’ordine.

Ma anche agli altri adesso gli agenti di frontiera chiedono le città di provenienza, per verificare se arrivano o meno da zone devastate dalla guerra.

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