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Clima e “rifugiati ambientali”/ 2: da Katrina ai paradisi del Pacifico

Le migrazioni forzate di “origine” climatica sono legate a filo doppio con i contesti umani di sviluppo, disuguaglianza, pace, guerra o conflitto interno. Cosicché il concetto di “rifugiati ambientali” (attuali o probabili) richiede prudenza: il caso delle 52 “piccole isole-Stato”.

Tuvalu: l'atollo di Funafuti (foto Wikipedia).
Tuvalu: l’atollo di Funafuti (foto Wikipedia).

 

Alla luce dei dati più recenti, «sebbene non ci sia un rapporto di causalità unico fra cambiamento climatico, disastri, gli spostamenti e la migrazione, l’esistenza di un chiaro collegamento fra i fenomeni è sempre più evidente e riconosciuto»: questo in sintesi lo status quaestionis sul tema dei cosiddetti “rifugiati ambientali” secondo il Rapporto sulla protezione internazionale 2015.

Ma al di là di cifre, stime e proiezioni, le vere questioni chiave sono altre. Prima fra tutte: le migrazioni forzate di “origine” ambientale sono legate a filo doppio con i contesti umani (a volte “troppo umani”) di sviluppo, disuguaglianza, pace, guerra o conflitto interno.

«Un conto sono stati gli effetti dell’uragano Katrina in Usa o dello tsunami in Giappone – osserva il Rapporto sulla protezione internazionale -, un altro quelli del terremoto» nella misera Haiti.

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Etiopia: una rifugiata somala in fuga dalla siccità e dall’insicurezza (foto UNHCR 2015).

Dopo la fine della guerra civile degli anni ’90, in Burundi siccità e degrado ambientale hanno esacerbato i “micro-conflitti” legati al possesso della terra «che forzeranno sicuramente altre persone in futuro a lasciare il territorio».

In Somalia la situazione di guerra endemica si somma agli effetti di siccità e degrado ambientale.

«In Kenya il campo profughi di Dadaab è uno dei più grandi al mondo e ciononostante la situazione ambientale non è migliore di quella dei Paesi da cui gli ospiti fuggono». E sempre in Kenya la competizione fra sfollati da siccità e popolazione locale per l’acqua e la raccolta di legna da ardere (attività svolta dalle donne fuori dai campi) ha causato, fra l’altro, un’impennata di violenze sessuali.

Piccole isole: non solo paesaggi da sogno

L'atollo di Atafu (Pacifico meridionale).
L’atollo di Atafu (Pacifico meridionale).

C’è poi il caso dei SIDS (Small Island Developing States) studiati da Jacopo Baron, collaboratore di Vie di fuga e autore di un sintetico focus per il Rapporto sulla protezione.

Queste 52 piccole isole-Stato sono disperse fra Caraibi, Pacifico, Africa, Oceano Indiano e Mar della Cina, e oltre che paesaggi da sogno condividono un bel po’ di problemi: risorse limitate, frequenti disastri ambientali, forte dipendenza dal commercio internazionale. Nonché una nota, ormai notissima vulnerabilità di fronte all’innalzamento del livello del mare: la quale però, alla luce di studi e ricerche indipendenti, richiede cautela quando la si enfatizza come causa principe di migrazioni, per sensazionalismo o buona fede.

«Ad oggi testimonianze di migrazioni dovute inequivocabilmente agli effetti del cambiamento climatico non esistono», anche se sono da considerare probabili in futuro (IPCC dell’ONU).

Secondo ricerche svolte sul campo, a Tuvalu (Pacifico meridionale) a collegare l’emigrazione al cambiamento del clima sono i volontari internazionali, mentre la popolazione locale insiste piuttosto sulle ragioni socio-economiche.

Ma non siamo in balia del clima

Foto UNU (2013).
Foto ONU (2013).

Insomma, si legge nel focus del Rapporto sulla protezione, occorre essere prudenti di fronte a «un sempre più diffuso “riduzionismo climatico” che, soffermandosi solo sugli effetti del cambiamento climatico, di fatto li eleva ad unico arbitro di fenomeni sociali complessi, quali ad esempio le migrazioni».

«Questo tipo di discorso – tra l’altro – sminuisce le capacità di adattamento delle comunità locali… e rischia di prestarsi a una retorica che, inquadrando le migrazioni come fenomeno inevitabile e intrinsecamente problematico, oscura tradizioni di mobilità e altre cause di vulnerabilità, dovute ai cambiamenti socio-culturali innescati dalla globalizzazione». (continua)

Leggi anche su Vie di fuga

Clima e “rifugiati ambientali”/ 1: oltre 19 milioni gli sfollati nell’ultimo anno

Collegamento

UNHCR, the environment & climate change (UNHCR, in inglese, ottobre 2015, file .pdf)

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IL DIRITTO D’ASILO - REPORT 2020

“Alcune volte è una fuga, altre una scelta, sempre contiene una speranza e una promessa. La strada di chi lascia la sua terra”. Una graphic novel che racconta alle nuove generazioni le storie, le persone e le ragioni delle migrazioni.

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by Mauro Biani – Repubblica
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