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Clima e “rifugiati ambientali”: a quando una visione veramente globale?

Siamo alla vigilia dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima. Ieri l’Organizzazione meteorologica mondiale ha lanciato un preoccupato allarme sulla concentrazione record di CO2 nell’atmosfera terrestre. Ma intanto, appena sfiorato dalla COP 21 tenutasi nella capitale francese un anno fa, rimane drammaticamente aperto il tema dei cosiddetti “rifugiati ambientali”. Anche perché, come è emerso a un recente convegno, non siamo ancora abituati a una visione globale di questi e altri fenomeni di fuga e migrazione, «perché confondiamo le parole senza analizzare i fatti nel loro insieme, perché separiamo le guerre e le persecuzioni dagli effetti del modello di sviluppo globale». Il caso-Siria. Le stime più attendibili e aggiornate. E il “primo” rifugiato ambientale in Italia.

Village: Jeypore, Panchayat: Jeypore Block: Stayabadi District: Puri, State: Odhisa , India, 4th March 2014: Women form a chain to pull floating sections of water hyacinth prior to uprooting them at the village pond in Jeypore. The water haycinth is cleaned twice a month as decided by village committee constituting of 10 members. Around 70 women voulenteers gather for the task. Earlier the village had cases of skin infections, mosquitoes and snake bites, today there are no snakes in their houses and the water quality has improved. The villagers today use the pond for duck farming, and fishing. Water hyacinth contaminates water, reduces agricultural capabilities and spreads diseases. Hyacinth also blocks waterways and are a cause of water logging in the area. This kind of water hyacinth that has spread across the area rots to create a smell which attracts snakes, poisonous insects and migratory birds. UNDP’s partnership with the govt of Odisha and supported by the Australian Agency for International Development is helping communities in Puri in Odisha adapt to extreme weather events. UNDP India/2014/Prashanth Vishwanathan
Foto Platform on Disaster Displacement.

 

L’Accordo di Parigi sul clima entrerà in vigore il prossimo 4 novembre, 30 giorni dopo il raggiungimento di una doppia soglia: la ratifica di 55 Paesi responsabili, in totale, almeno del 55% delle emissioni di gas serra.

Il traguardo è stato superato il 5 ottobre, con la ratifica dell’Unione Europea, mentre la ratifica di Stati Uniti e Cina era arrivata il 3 settembre. Ad oggi i Paesi che hanno ratificato l’accordo sono in tutto 84 sui 197 “Stati parte” della Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico (UNFCC).

Verso le “raccomandazioni” (senza fretta) 

Il Programma di lavoro adottato in seguito alla COP 21 di Parigi del dicembre 2015 (la ventunesima sessione della Conference of parties) contempla come unico riferimento al tema dei “rifugiati ambientali” la creazione di una “task force” con il compito di «elaborare raccomandazioni per approcci integrati in grado di prevenire, ridurre al minimo e contrastare lo sradicamento forzato collegato agli effetti avversi del cambiamento climatico».

Dallo scorso dicembre, il (laborioso) processo verso la task force ha prodotto finora dei “Termini di riferimento“. Prossimo passo, l’inizio del «processo di nomina».

Più di 19 milioni di nuovi sfollati interni nel 2015

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Foto Platform on Disaster Displacement.

«Lo sradicamento forzato correlato a disastri, inclusi gli effetti del cambiamento climatico, è una realtà e una delle più gravi sfide umanitarie che gli Stati e la “comunità internazionale” devono affrontare nel 21° secolo», afferma l’Agenda sulla protezione che nel dicembre 2015 ha concluso la Nansen Initiative.

Secondo l’Agenda, fra 2008 e 2014 nel mondo sono state sradicate da disastri improvvisi oltre 184,4 milioni di persone, in media 26,4 all’anno.

Di queste, in media 22,5 ogni anno sono state sradicate da calamità legate al tempo atmosferico e al clima. Ma «altre hanno dovuto spostarsi per gli effetti dell’innalzamento del livello del mare, la desertificazione o il degrado ambientale. Nella comunità scientifica si registra un largo consenso circa la previsione che il cambiamento climatico, in combinazione con altri fattori, sarà causa di un aumento dello sradicamento in futuro».

Nel solo 2015, i disastri correlati all’ambiente hanno causato 19,2 milioni di sfollati interni in 113 Paesi, ma soprattutto in Asia meridionale e orientale (fonte Global Report 2016 dell’Internal Displacement Monitoring Center).

Cliccare per ingrandire: in azzurro sul planisfero sono indicati i nuovi sfollati a causa di disastri (climatici e non) nel 2015. In arancione, invece, i nuovi sfollati causati da conflitti e violenze (fonte Internal Displacement Monitoring Centre 2016).
Cliccare per ingrandire: in azzurro sul planisfero sono indicati i nuovi sfollati a causa di disastri (climatici e non) nel 2015. In arancione, invece, i nuovi sfollati causati da conflitti e violenze (fonte Internal Displacement Monitoring Centre 2016).

Siria 2006-2010, prima dello sfacelo

A settembre si è tenuto a Milano il convegno “Il secolo dei rifugiati ambientali?”. Nella sua relazione ha fatto il punto della situazione la promotrice dell’iniziativa, l’europarlamentare Barbara Spinelli.

Secondo Spinelli, sul tema dello sradicamento forzato  per cause ambientali e climatiche «non siamo ancora abituati mentalmente a una visione globale dei fenomeni di fuga e migrazione. Perché confondiamo le parole senza analizzare nel loro insieme i fenomeni, perché separiamo le guerre e le persecuzioni dagli effetti del modello di sviluppo globale adottato in primis da Occidente e Cina».

L’europarlamentare, fra l’altro, ha portato l’esempio degli effetti combinati di siccità e sfruttamento dissennato delle risorse idriche in Siria (fra 2006 e 2010) sullo sfacelo del Paese mediorientale: «L’oppressione politica non è la sola causa delle guerre. Il cambiamento del clima causato dall’uomo ha svolto nel caso della Siria un ruolo ancora maggiore. In questo processo si è inserito il conflitto geo-strategico – un ennesimo regime change promosso dall’Occidente, che ha decretato lo Stato fallito in Siria – e gli sfollati interni sono in parte divenuti popoli in fuga da guerre e violenze generalizzate».

Testimonianza: “Io, forse il primo in Italia”

«Dicono che il mio sia uno dei primi casi in cui è stata data una protezione per motivi ambientali. Ma è stata lunga: all’inizio la mia domanda di asilo è stata respinta, poi grazie a un avvocato, e all’associazione che mi ha ospitato, ho ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ho aspettato due anni e mezzo, ma ora posso ricostruirmi una vita». La Repubblica ha raccolto nelle scorse settimane la testimonianza di un giovane pakistano di 28 anni che nell’agosto 2013 ha perso tutto, famiglia e casa, in un’esondazione del fiume Chenab. Oggi vive e lavora in Emilia-Romagna.

Allegato

Rifugiati climatici e migrazioni forzate: quale protezione?”, in Il diritto d’asilo tra accoglienza e esclusione, ed. Dell’Asino 2015, pp. 209-212, file .pdf 882 kbyte)

Collegamenti

Video: la vicenda di  Ioane Teitiota, “rifugiato ambientale” respinto a Kiribati dalla Nuova Zelanda (BBC, in inglese, 5 novembre 2015)

Dopo l’Iniziativa Nansen: i lavori della Platform on Disaster Displacement

Accordo di Parigi: così l’hanno visto dal Brasile (fonte Melting Pot, aprile 2016)

Leggi anche su Vie di fuga

Clima e “rifugiati ambientali”: il “dossier” 2015

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