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Il diritto internazionale

Si diventa rifugiati perché i propri diritti umani e naturali sono ad alto rischio, perche i propri diritti umani sono già compromessi in maniera definitiva, come nel caso di chi ha subito torture o altro genere di violenze. Il diritto internazionale, chiamato anche “diritto delle genti”, è quella branca del diritto che regola la vita della comunità internazionale. In merito alla protezione dei diritti umani e a quella dei rifugiati è il primo strumento a cui gli Stati devono fare riferimento e sui devono uniformare la propria legislazione.
La ratifica, cioè l’accettazione, dei trattati internazionali conduce all’adesione da parte degli Stati ai valori proclamati dalla comunità internazionale e vincola alla responsabilità nei confronti dell’applicazione delle normative.

Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR (1949)

Tale Dichiarazione fu approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni. Codice etico di importanza storica fondamentale, è stato il primo documento a sancire universalmente (cioè riguardo a ogni epoca storica e a ogni parte del mondo) i diritti che spettano all’essere umano. Nell’ambito della comunità internazionale, ai diritti e alle libertà riconosciuti nella Dichiarazione, va attribuito un valore giuridico autonomo, dal momento che essi sono ormai considerati, dalla gran parte delle nazioni civili, alle stregua di principi inalienabili del diritto internazionale generale. In essa viene affermato che: “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” e che “ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”.
Nello stesso periodo in cui fu approvata la Dichiarazione dei diritti la comunità internazionale stava discutendo sulla necessità della creazione di un organismo internazionale che si occupasse dei rifugiati. Alla base di tale necessità vi erano i recenti fatti storici come i massicci spostamenti di popolazioni che la Seconda Guerra Mondiale aveva creato. Il risultato di queste discussioni fu la creazione, nel dicembre del 1949, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati il cui statuto venne approvato alla fine del 1950.
Le funzioni di questo organismo sono rimaste invariate negli anni e sono quelle di fornire ai rifugiati una forma di protezione internazionale e di cercare soluzioni permanenti alle loro problematiche, assistendo i governi nei rimpatri volontari o nell’integrazione alle comunità nazionali.

Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato (1951) e il Protocollo relativo alla status di rifugiato (1967)
Il 28 luglio 1951 si concluse a Ginevra una conferenza speciale delle Nazioni Unite con l’approvazione della Convenzione sullo status dei rifugiati ovvero Convenzione di Ginevra. Per tre settimane nell’Ufficio Europeo delle Nazioni Unite un gruppo di delegati lavorò all’elaborazione di una carta dei diritti destinata a diventare lo strumento per l’individuazione:

  1. dei requisiti imprescindibili per il conferimento dello status di rifugiato. La definizione dei requisiti è costituita da tre parti rispettivamente denominate clausole di “inclusione”, di “cessazione” e di “esclusione”. Le prime raccolgono i criteri che una persona deve soddisfare per poter essere riconosciuta come rifugiato, le seconde riguardano le circostanze in cui un rifugiato smette di essere tale e le terze le situazioni nelle quali
    una persona è esclusa dall’applicazione della Convenzione1;

  2. delle forme di protezione legale e di assistenza e i diritti sociali che gli stati firmatari del documento sono tenuti a garantire.

La stesura di tale documento richiese estenuanti trattative, lunghissime dispute giuridiche e discussioni sulla difesa dei diritti degli stati sovrani. Ne derivò una definizione generale dello status di rifugiato basata su criteri in parte approssimativi, come il codificato «ben fondato timore di persecuzione», e limitata a situazioni determinatesi «come conseguenza di eventi avvenuti prima del 1° gennaio 1951».
La Convenzione finì inoltre per prevedere la possibilità per gli stati ratificanti di depositare una dichiarazione specifica di limitazione geografica e di optare per una protezione rivolta esclusivamente ai rifugiati di provenienza europea. Il limite temporale e la possibilità di imporre anche un limite geografico vennero eliminati con il Protocollo sullo status dei rifugiati, firmato a New York il 31 gennaio 1967. Convenzione e Protocollo costituiscono i pilastri normativi di riferimento per l’azione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), costituito pochi mesi prima la stesura della Convenzione, il primo gennaio 1951.
Sono 146 gli Stati che hanno aderito a uno o a entrambi gli strumenti normativi dell’ONU (l’Italia è fra questi). Ma il mutare delle tendenze globali della migrazione e l’aumento drammatico dei flussi di popolazione negli ultimi anni, hanno fatto emergere ulteriori dubbi sull’attualità e sull’efficacia della Convenzione del 1951. In particolar modo in Europa: per ironia della sorte il luogo di nascita della stessa Convenzione.
La Convenzione di Ginevra definisce:
1- i requisiti che concedono lo status di rifugiato ed essi sono:
a) un rifugiato deve essere fuggito dal proprio paese, quindi deve averne varcato i confini;
b) un rifugiato deve possedere il cosiddetto “giustificato (o fondato) timore di persecuzione” che lo chiami in causa direttamente e personalmente;
c) la persecuzione, sia che sia stata subita o soltanto temuta, deve rientrare nelle seguenti categorie: persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di opinione pubblica. Motivi di persecuzione non previsti dalla Convenzione ma ora presi
in considerazione sono quelli relativi all’identità di genere e all’orientamento sessuale della persona2
d) il rifugiato deve trovarsi nell’impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese d’origine.
2- gli obblighi del rifugiato nei confronti dei governi ospitanti e alcune categorie di persone, ad esempio i criminali di guerra, che non possono accedere allo status di rifugiati,
3- il principio di non respingimento (non refoulement), per cui nessuno Stato contraente potrà espellere e respingere un richiedente asilo verso le frontiere di Stati dove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Costituisce respingimento anche il rinvio indiretto verso uno Stato terzo che potrebbe successivamente inviare il richiedente verso lo Stato di temuta persecuzione. L’obbligo di non respingimento non comporta alcuna limitazione geografica e si applica a tutti gli agenti statali nell’esercizio delle loro funzioni all’interno o all’esterno del territorio nazionale.
E’ importante notare che Il significato di ‘persecuzione’ non viene chiarito nel testo della Convenzione ed è stato interpretato nel senso di una violazione di gravità tale da giustificare un bisogno di protezione da parte di un altro Stato. Il bisogno di protezione dipende a sua volta dalla gravità del potenziale danno e dal tipo di diritto che rischia di essere violato.
Il Protocollo relativo alla status di rifugiato venne adottato a New York il 31 gennaio 1967. La spinta che portò al bisogno del Protocollo fu la volontà di superamento delle limitazioni, temporali e geografiche, al riconoscimento dello status di rifugiato sancite nella Convenzione del 1951. Infatti punto di partenza fu la considerazione che nuove categorie di rifugiati erano nate dopo l’adozione della Convenzione del 1951. Il Protocollo estese il raggio d’azione della Convenzione sulla spinta delle dimensioni globali assunte dal problema dello sradicamento delle popolazioni.
Gli Stati firmatari concordarono che nuove categorie di rifugiati, emerse dopo il 1951, rischiavano di essere escluse, a causa del testo della Convenzione, dal riconoscimento del diritto di tutela.
Il Protocollo dispone che la definizione di cui all’art. 1 della Convenzione debba essere intesa come se le parole “a seguito di avvenimenti verificatisi
anteriormente al 1 gennaio 1951” fossero omesse e stabilisce che la normativa connessa debba applicarsi senza alcuna limitazione geografica3
È basilare specificare che a differenza di altre convezioni concernenti i diritti umani la Convenzione di Ginevra e il relativo Protocollo non dispongono di un comitato che verifichi il rispetto del proprio contenuto, a questa mancanza supplisce l’UNHCR come è del resto previsto nell’articolo 35 della Convenzione.

Convenzione dell’Organizzazione per l’Unità Africana (1969)
Nel 1969, l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) adottò la “Convenzione che disciplina determinati aspetti del problema dei rifugiati in Africa”. Riconoscendo la Convenzione ONU del 1951 come “lo strumento fondamentale e universale relativo allo status dei rifugiati” e facendo propria la definizione di rifugiato ivi contenuta, la Convenzione dell’OUA amplia la definizione stessa stabilendo che essa “si applica anche a chi, in ragione di aggressioni esterne, occupazione, dominio straniero o fatti che rechino un grave turbamento all’ordine pubblico […] è costretto a lasciare la sua residenza abituale per cercare asilo in un altro luogo al di fuori del paese di cui è originario o cittadino.”

Dichiarazione di Cartagena (1984)
Nel novembre 1984, in reazione alla crisi di rifugiati allora in atto in America Centrale, un gruppo di rappresentanti dei governi, professori universitari e giuristi centroamericani si riunì a Cartagena, in Colombia, per elaborare quella che divenne la Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati. Come nella Dichiarazione dell’OUA, viene estesa la definizione di rifugiato. Il documento stabilisce che i rifugiati sono coloro che “fuggono dal proprio paese […] perché la loro vita, la loro sicurezza o la loro libertà è minacciata da violenze generalizzate, un’aggressione straniera, un conflitto interno, massicce violazioni dei diritti umani o altre gravi turbative dell’ordine pubblico.”

La legislazione europea

Il trattato istitutivo della Comunità Economica Europea del 1957, entrato in vigore nel 1958, contiene norme sulla libera circolazione delle persone ma non contempla tra le competenze comunitarie il diritto d’asilo, né la disciplina di ingresso nei Paesi comunitari di cittadini di Stati Terzi. A quell’epoca, infatti, la condizione degli stranieri e, a maggior ragione, il diritto d’asilo, erano considerati materie di competenza statale e tutt’al più potevano essere regolati nel quadro delle relazioni bilaterali tra gli Stati. L’idea di una strategia sovranazionale per il coordinamento delle posizioni degli Stati in materia di immigrazione risale al 1986, con l’entrata in vigore dell’Atto Unico Europeo.
Il primo passo verso una cooperazione intergovernativa in materia di immigrazione e di asilo fu fatto a Maastricht nel 1992. Tale materia fu infatti formalmente inserita nel Trattato di Maastricht, diventando, di conseguenza, competenza comunitaria. Nonostante la riconosciuta importanza di questo passo esso non riuscì a conseguire risultati appezzabili.
Per quanto riguarda le politiche di immigrazione e di asilo si può eleggere il 1999 come anno cardine. Infatti in quell’anno entrò in vigore il Trattato di
Amsterdam
4, dove vennero poste le basi per una comunitarizzazione della materia di asilo, permettendo che essa passasse da oggetto della cooperazione intergovernativa a competenza comunitaria sovranazionale. La materia asilo trovò un suo autonomo spazio tramite l’inserimento di un titolo dedicato a: “visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”.
Gli obiettivi politici e strategici dell’armonizzazione di una politica comune di asilo e immigrazione, posti alla base del Trattato di Amsterdam, vennero stabiliti dal Consiglio straordinario di Tampere nell’ottobre 1999. Scopo di questo Consiglio straordinario era stato la risoluzione delle difficoltà di attuazione delle misure stabilite nel Trattato di Amsterdam e la necessità impellente di offrire risposte efficaci alla situazione emergenziale provocata dagli arrivi in massa di profughi kossovari.
Le conclusioni dei giorni di lavoro di Tampere sono qui riassunte: “l’obiettivo è un’Unione Europea aperta, sicura, pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e di altri importanti strumenti internazionali per i diritti dell’uomo, e capace di rispondere ai bisogni umanitari con la solidarietà”. Nonostante queste conclusioni non avessero carattere prescrittivo vennero ordinate alcune disposizioni contenenti un mandato da esercitarsi entro scadenze precise e cioè da una parte, ossia nel breve termine, si sarebbe dovuto attuare quanto stabilito ad Amsterdam mentre dall’altra, ossia nel lungo termine, le norme comunitarie avrebbero dovuto indirizzarsi verso l’implementazione di una procedura comune in materia di asilo e nella creazione di uno status uniforme per coloro riconosciuti come rifugiati.

Convenzione di Dublino (1990) e Regolamento Dublino II (2003)
La Convenzione di Dublino aveva scopo di determinare lo Stato europeo competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati Membri delle Comunità Europee. Il fine era quello di introdurre una disciplina uniforme sulla competenza ad esaminare le domande di asilo dei cittadini dei Paesi terzi richiedenti ingresso in uno degli Stati comunitari aderenti alla Convenzione di Schengen. Tale Convenzione è stata sostituita nel 2003 dal Regolamento Dublino II (CE n. 343/2003) e persegue tali obiettivi:
1- garantire che nessun richiedente lo status di asilo politico sia rinviato in un paese nel quale rischia di essere nuovamente vittima di persecuzioni, in ottemperanza al principio di non respingimento;
2- garantire, nel più breve tempo possibile, al richiedente asilo, l’individuazione dello Stato membro competente all’esame della sua domanda;
3- evitare che il richiedente asilo politico sia rimbalzato da uno Stato all’altro senza che nessuno accetti di esaminare la sua domanda (il cosiddetto caso dei rifugiati in orbita);
4- prevenire l’abuso delle domande di asilo multiple (il cosiddetto asylum shopping).
Il Regolamento Dublino II stabilisce i seguenti criteri per l’individuazione dello Stato competente:

  1. criteri relativi al principio dell’unità del nucleo familiare; se il richiedente è un minore non accompagnato è competente lo Stato in cui si trova legalmente un suo familiare, purchè sia nel miglior interesse del minore. In mancanza di un familiare è competente lo Stato in cui il minore ha presentato somanda;criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti; se il richiedente è in possesso di titoli di soggiorno validi lo Stato competente è quello che ha rilasciato tali titoli ;

  2. criteri relativi all’ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro. Si possono registrare due casi: a) se il richiedente ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro quest’ultimo è competente per l’esame della sua domanda entro 12 mesi dalla data di attraversamento b) se il richiedente asilo ha soggiornato per un periodo continuato di almeno 5 mesi in uno Stato membro prima di presentare domanda di asilo quest’ultimo è competente per l’esame di tale domanda;

  3. criteri relativi all’ingresso legale in uno Stato membro; se il richiedente è un cittadino di un Paese terzo per cui non è richiesto il l’obbligo del visto, l’esame della sua domanda compete allo Stato membro in cui questo fa domanda di asilo;

  4. criteri relativi a domanda presentata in una zona internazionale di transito di un aeroporto; lo Stato membro competente è quello che riceve la domanda di asilo in un aeroporto di sua competenza.

  5. Criterio detto generale; esso è applicabile quando nessuno Stato membro può essere designato competente per la domanda di asilo sulla base dei criteri enumerati. In tali casi è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

A tali criteri è aggiunta la cosiddetta Clausola Umanitaria secondo la quale qualsiasi Stato membro può, pur non essendo competente in applicazione dei criteri vincolanti definiti dal Regolamento, accettare di esaminare una domanda di asilo per ragioni umanitarie.
I principi ispiratori del Regolamento Dublino II sono, in continuità con la Convenzione di Dublino, la previsione di un regime europeo comune in materia di asilo, la disposizione di un meccanismo chiaro e pratico per l’individuazione dello Stato membro competente, il rapido espletamento delle domande di asilo e il non respingimento.

Decisione 2000/596/CE
Il primo strumento di attuazione, avente fine l’armonizzazione comunitaria in materia di asilo stabilita a Tampere, fu l’istituzione del Fondo Europeo per i Rifugiati (FER) per il periodo 2001-2004. L’obiettivo era di creare un sistema di ripartizione delle risorse fra gli Stati membri al fine di ottenere un equilibrio fra gli oneri sostenuti per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

Regolamento 2725/2000
Altro strumento per la gestione comunitaria della materia asilo fu l’istituzione, attraverso il Regolamento 2725, dell’Eurodac. Si tratta di un sistema informatizzato che si basa su un’unità centrale dotata di una banca dati dove vengono raccolte le impronte digitali dei richiedenti asilo. Lo scopo di questo sistema è quello della determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo.

Direttiva 2003/9/CE
Tale Direttiva reca norme minime comuni relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. La Direttiva si applica a tutti i cittadini dei Paesi terzi e agli apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno Stato membro.
Gli obiettivi di tale direttiva sono: garantire che ai richiedenti asilo sia assicurata una qualità di vita dignitosa e che in tutti gli stati membri siano loro offerte condizioni di vita omogenee e di impedire gli spostamenti dei richiedenti asilo all’interno dell’Unione Europea in conseguenza alle diverse regole esistenti nei diversi Stati membri. Per quanto riguarda il nucleo familiare del richiedente asilo, gli Stati membri, devono adottare misure idonee atte a mantenerlo unito nel territorio.
La Direttiva determina quindi le condizioni generali di accoglienza, la possibilità da parte di uno Stato di limitare la libertà di spostamento del richiedente asilo all’interno dello stesso Stato membro, di stabilire la tempistica per l’accesso al mercato del lavoro e prevede che ogni Stato membro tenga conto della specifica situazione di persone vulnerabili (come i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime di torture, stupri o di altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale).
Il 3 dicembre 2008, in seguito al Rapporto di valutazione dell’applicazione della Direttiva 2003/9/CE, la Commissione dell’Unione Europea ha presentato una proposta di Direttiva volta a sostituire quest’ultima. Tale proposta ha il fine di rimediare alle lacune riscontrate nei recepimenti nazionali.
In Italia è stata recepita con il DLgs n. 140/2005.

Direttiva 2004/83/CE
Detta anche Direttiva Qualifiche reca norme minime sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di protezione internazionale. Tale Direttiva introduce infatti due diversi tipi di protezione internazionale: lo status di rifugiato e lo status di protezione sussidiaria. Fino all’emanazione di questa Direttiva i richiedenti che non soddisfacevano le condizioni necessarie per ottenere lo status di rifugiato potevano soltanto chiedere e eventualmente ottenere la cosiddetta protezione umanitaria. La protezione sussidiaria è rilasciata dallo stesso organo competente al rilascio dello status di rifugiato. Questa nuova forma di protezione è assicurata quando il richiedente viene perseguitato per una condanna alla pena di morte, per torture o trattamenti inumani o degradanti e punizioni, oppure se sia in  pericolo per una situazione generalizzata di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Altra fondamentale conseguenza di questa Direttiva è l’inserimento tra gli atti di persecuzione di quelle azioni diretti specificatamente contro un sesso.
La Direttiva 2004/83/CE risponde a una duplice esigenza; da un lato assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare coloro che hanno bisogno di protezione internazionale e dall’altro garantire la presenza di un livello minimo di prestazioni a sostegno di tali persone. Infatti gli Stati membri attraverso il recepimento di questa Direttiva sono tenuti a garantire:

  • il diritto di non respingimento;

  • il diritto di ricevere comunicazioni in lingue comprensibili ai richiedenti asilo;

  • il diritto all’ottenimento di un permesso di soggiorno

  • il diritto all’esercizio di un’attività autonoma e la possibilità di accedere a corsi di formazione professionale nel caso degli adulti e all’istruzione nei casi dei minori;

  • il diritto alle cure mediche e psicologiche e a qualsiasi altra forma di assistenza per le categorie vulnerabili;

  • il diritto a una sistemazione adeguata;

  • il diritto all’accesso a programmi volti alla promozione dell’integrazione all’interno della società o miranti a facilitare il rientro volontario nel Paese di origine.

Il 21 ottobre 2009 il Parlamento e il Consiglio europeo presentano una proposta di rifusione della Direttiva 2004/83/CE volta a eliminare le differenze nel livello dei diritti garantiti ai rifugiati e ai beneficiari di protezione sussidiaria, a offrire norme di protezione più elevate in modo da garantire la piena applicazione della Convenzione di Ginevra a della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CEDU)5, armonizzare ulteriormente le norme di protezione, incentivare l’accesso effettivo ai diritti già garantiti dalla Direttiva, attraverso la presa in considerazione delle specifiche sfide all’integrazione.
In Italia è stata recepita con il DLgs n. 251/2007.

Decisione 2004/94/CE e abrogazione della stessa tramite la Decisione 573/2007/CE
Attraverso tali Decisioni è stato stabilito il rinnovo del FER, prima per il periodo 2005-2010 e poi in seguito all’abrogazione per il periodo 2008-2013.

Direttiva 2005/85/CE
Detta anche Direttiva procedure reca norme minime per le procedure di concessione e di revoca dello status di rifugiato. Essa prevede una “procedura unica” per l’esame delle domande di protezione internazionale introdotte sul territorio degli Stati membri comprese le zone di frontiera e di transito.
La Direttiva fissa le norme essenziali per l’efficacia delle procedure di concessione e revoca dello status di rifugiato e intende da un lato ridurre le disparità tra le procedure nazionali di esame delle richieste di asilo e dall’altro assicurare la qualità delle decisioni prese dai singoli Stati membri. Per l’ottenimento di tali obiettivi sono previste delle garanzie fondamentali che sono:
una domanda di asilo non può essere respinta per il solo fatto di non essere stata presentata tempestivamente;

  • gli stati membri garantiscono che le decisioni prese sono basate su un esame individuale, obiettivo e imparziale;

  • i richiedenti asilo possono rimanere sul territorio del Paese dove hanno presentato domanda fino all’adozione della decisione da parte dell’autorità competente;

  • gli stati membri garantiscono ai richiedenti asilo il diritto di ricorso effettivo e non possono trattenere la persona per il solo motiva che essa chiede asilo.

Il 21 ottobre 2009 la Commissione europea ha adottato una proposta di emendamento della Direttiva 2005/85/CE volta a predisporre una procedura unica, facilitare l’accesso alle procedure di esame e al ricorso effettivo, rendere più efficace la procedura di esame delle domande (ad esempio attraverso l’introduzione di un termine generale di sei mesi per ultimare le procedure di primo grado), migliorare la qualità delle decisioni in materia di asilo.
In Italia è stata recepita con il DLgs n. 25/2008.

Direttiva 2008/115/CE
Detta anche Direttiva rimpatri reca norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, cioè di cittadini che non soddisfino le condizioni di ingresso, di soggiorno o di residenza in uno Stato membro.
La Commissione europea lavora sulla materia rimpatri dal 2005, anno in cui fu presentata la prima proposta di legge. Tale proposta fu modificata tramite un testo di ammenda, chiamato rapporto ‘Manfred Weber’ dal nome del suo relatore, approvato senza modifiche nel giugno 2008. Il testo alla base della Direttiva prevede un approccio al rimpatrio distinto in due tappe; la prima definita periodo di partenza volontaria dove viene fatta richiesta esplicita allo straniero di rimpatriare e ha una durata compresa fra i 7 e i 30 giorni, la seconda definita decisione di rimpatrio, di natura coercitiva, dove lo straniero di fronte al proprio rifiuto di partire “volontariamente” viene allontanato dallo Stato membro dall’autorità giudiziaria. La Direttiva prevede casi di trattenimento e conseguenti standard comuni sulle condizioni degli stessi. La direttiva prevede anche che i provvedimenti di allontanamento comportino un divieto di reingresso nel territorio dell’Unione europea, per una durata non superiore ai cinque anni nei casi in cui non è stato concesso il periodo di ritorno volontario o se l’obbligo di rimpatrio non è stato rispettato.
La Direttiva chiama gli Stati membri a un recepimento che tenga nella debita considerazione l’interesse superiore del minore – il quale deve essere ricondotto a un membro della propria famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di ritorno – la vita familiare, le condizione di salute dei soggetti interessati e il rispetto del principio del non respingimento.
Il termine imposto agli Stati membri per il recepimento della Direttiva 2008/115 è il 24 dicembre 2010.

Trattato di Lisbona 2009
Tale trattato prevede e inserisce la materia asilo nel titolo dedicato alle ‘Politiche relative ai controlli delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione’. Nell’articolo 63, paragrafo 2, viene stabilito che il Parlamento europeo e il Consiglio adottano le misure concernenti un sistema europeo comune di asilo con preciso riferimento a:

  • l’uniformità dello status di asilo politico e di protezione sussidiaria;

  • le procedure comuni per la concessione e la revoca degli status;

  • il sistema comune di protezione degli sfollati;

  • i criteri e i meccanismi per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda;

  • le norme riguardanti l’accoglienza;

  • il partenariato e la cooperazione con gli Stati terzi con il fine di gestire i flussi di richiedenti asilo.

Nel paragrafo 3 dell’articolo 63 viene prevista la possibilità di adottare misure temporanee a vantaggio degli Stati membri che devono affrontare situazioni di emergenza legata ad afflussi improvvisi di cittadini da Paesi terzi.

La legislazione italiana
Lo status degli stranieri in Italia è regolato innanzitutto dalle norme sui diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione Italiana. La carta costituzionale quando tratta questi diritti si rivolge infatti non solo ai cittadini della Repubblica ma a ‘tutti’, o comunque si esprime in modo impersonale. Per quanto concerne i rifugiati, entra poi nello specifico con il comma terzo dell’articolo 10 secondo cui: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Tale dettato costituzionale non ha però ancora trovato riscontro in una normativa nazionale organica, infatti a oggi non è stata adottata alcuna disciplina integrativa della riserva di legge, contenuta nel terzo comma dell’articolo 10, lasciata dai lungimiranti redattori della carta costituzionale italiana. A fronte dell’inerzia del legislatore in materia di asilo l’Italia è rientrata tra i firmatari della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, come del successivo Protocollo, ratificandone il contenuto.
È necessario chiarire come le due figure qui in esame, quella costituzionale dell’asilo e quella convenzionale del rifugiato, non appaiono in nessun modo né assimilabili, né interscambiabili, né tantomeno sovrapponibili. Infatti se la Costituzione assicura l’asilo a chiunque sia impedito nel suo Paese all’effettivo esercizio delle libertà fondamentali, la Convenzione richiede che lo straniero esprima il fondato timore di essere perseguitato. Risulta quindi chiaro che l’insieme degli stranieri tutelati dal diritto di asilo secondo la Costituzione italiana è ben più ampio dell’insieme dei perseguitati tutelati dalla Convenzione di Ginevra.

Legge ‘Martelli’ Legge 39/90 (1990)
La legge Martelli è il primo intervento specifico della legislazione italiana in materia di immigrazione e comprende un primo abbozzo di disciplina dello status di rifugiato. La legge Martelli si rivolge nell’intitolazione all’asilo politico ma si riferisce in realtà ai soggetti destinatari della Convenzione di Ginevra regolandone l’ingresso in Italia e il riconoscimento dello status.
Tale legge e’ imperniata su due misure specifiche: abolizione della riserva geografica che limitava il riconoscimento dello status di rifugiato ai soli provenienti dall’Europa e previsione di una programmazione degli ingressi in Italia per motivi di lavoro degli extracomunitari.

Legge ‘Turco-Napolitano’ Legge 40/98 (1998)
La legge Turco-Napolitano tentò di proporsi come legislazione di superamento della fase emergenziale e come sistemazione organica dell’intera materia immigrazione dall’estero. In definitiva non apportò radicali modifiche alla Legge ‘Martelli’ ma attraverso essa venne istituzionalizzata, per la prima volta nella storia della Repubblica, una nuova figura: il Centro di Permanenza Temporanea e Accoglienza o CPTA, oggi Centri di Identificazione e Espulsione o CIE, per contenere tutti gli stranieri che “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile”6.
Un’altra novità della legge Turco-Napolitano è l’introduzione nell’ordinamento italiano del permesso di soggiorno per motivi umanitari che viene rilasciato quando ricorrano seri motivi di carattere umanitario.

Legge ‘Bossi-Fini’ Legge 189/2002 (2002)
La legge ‘Bossi-Fini’, che ha trovato piena attuazione solo nel 2005, conduce a notevoli svolte in materia di diritto d’asilo. La legge infatti introdusse una nuova procedura di asilo, oggi venuta meno, che affiancava alla procedura ordinaria la procedura semplificata. Tale procedura semplificata si applicava in due ipotesi distinte; la prima nel caso del richiedente straniero fermato in condizioni di soggiorno irregolare e la seconda nel caso del richiedente straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione. In entrambi i casi il questore competente dispone il luogo di trattenimento dell’interessato.
La legge Bossi-Fini, nonostante enunci il principio generale secondo cui lo straniero non possa essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato domanda di asilo, ha introdotto due forme di trattenimento dei richiedenti asilo; la prima, come spiegato sopra, di tipo obbligatoria e la seconda di tipo facoltativo nei casi in cui sia necessario verificare l’identità dello straniero richiedente.
Altre due novità caratterizzarono la legge Bossi-Fini; esse sono l’istituzione delle Commissioni Territoriali, aventi il compito di esaminare in modo decentrato le domande di asilo, e della Commissione Nazionale, avente funzioni di coordinamento, formazione e aggiornamento delle stesse e poi l’istituzione del Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo (SPRAR).

DLgs 85/2003 ovvero Direttiva sui minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo
Dopo un lungo periodo di ritardo sull’individuazione di normative in grado di governare il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, viene emanata una direttiva specifica che stabilisce che all’arrivo alla frontiera, il minore che esprima la volontà di richiedere lo status di rifugiato venga accompagnato e affidato immediatamente alle strutture del Sistema di Protezione del Richiedente Asilo e Rifugiato (SPRAR) e non a una struttura qualsiasi, come per lungo tempo è avvenuto. Tutti i pubblici ufficiali e gli esercenti di pubblici servizi che vengono in contatto con minori stranieri non accompagnati, devono essere in grado di fornire loro tutte le informazioni sulla facoltà di richiedere il diritto d’asilo. Per compiere questo servizio ci si deve avvalere di mediatori culturali e di modalità adeguate all’età del minore.

DLgs 140/2005
Ricezione della Direttiva Comunitaria 2003/9 con l’attuazione del DLgs 140/2005 concernente norme relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Lo scopo di tale attuazione è quello di stabilire le norme sull’accoglienza degli stranieri richiedenti lo status di rifugiato nel territorio italiano in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati.

DLgs 251/2007
Ricezione della Direttiva Comunitaria 2004/83 con l’attuazione del DLgs 251/2007 recante norme sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale. Tale DLgs introduce la categoria di protezione sussidiaria, riconosciuta dalla Commissione qualora non sussistano i requisiti per il riconoscimento della qualifica di rifugiato e caratterizzata da essere un vero e proprio status, come la stessa qualifica di rifugiato. Il DLgs introduce un ulteriore elemento di novità cioè la tutela del nucleo familiare per entrambi i tipi di protezione. Infatti i familiari dei beneficiari di protezione potranno essere ricongiunti o, se si trovano in Italia, ottenere un permesso per motivi di famiglia.

DLgs 25/2008 e successive modifiche tramite il DLgs 159/2008
Ricezione della Direttiva comunitaria 2005/85 con l’attuazione del DLgs 25/2008 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Con tale decreto le Commissioni Territoriale aumentano a 10 e vengono rinominate Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e i vecchi Centri di Identificazione (CdI) sono soppressi e sostituiti dai Centro Accoglienza Richiedenti Asilo (CARA).
Il DLgs 25/2008 ha subito modifiche e integrazioni a seguito dell’entrata in vigore, nel novembre 2008, del DLgs 159/2008. Le nuove norme dettate dal decreto 159/2008 introducono:

  • restrizioni alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo nel caso di ricorso avverso le decisioni di diniego di domande considerate manifestamente infondate,

  • estensione del trattenimento obbligatorio dei richiedenti asilo che sono oggetto di un provvedimento di respingimento al momento del loro arrivo in Italia,

  • dimezzamento dei termini di ricorso per i richiedenti asilo trattenuti.

Decreto-Legge 11/2009
Il decreto reca misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori. L’articolo 5 di detto decreto prolunga fino a un massimo di 6 mesi i tempi del trattenimento dello straniero nei centri di identificazione ed espulsione, lasciando, in ogni caso, libertà al questore di eseguire l’espulsione e il respingimento anche prima della scadenza del termine.

 

 

1 UNHCR, Handbook on procedures and criteria for determining refugee status under the 1951 Convention and the
1967 Protocol relating to the status of refugees, Geneva, 1992

2 Nel 2002 l’UNHCR ha pubblicato una serie di linee guida nelle quali viene affermato che la definizione internazionale di rifugiato copre anche le richieste basate sul genere, includendo fra i motivi la violenza sessuale, la tratta, la violenza domestica, la pianificazione familiare forzata, la mutilazione genitale femminile, i delitti d’onore, i matrimoni forzati, le punizioni inflitte a chi infrange le consuetudini sociali e la discriminazioni verso chi ha un partner dello stesso sesso.

3 Con l’unica eccezione di Congo, Monaco e Turchia che si erano avvalsi della facoltà di concedere protezione ai soli rifugiati di provenienza europea prima del 1967. Infatti il Protocollo stabiliva che gli stati che avevano già optato per la limitazione geografica nel quadro della Convenzione avrebbero potuto conservarla anche con riferimento alla sfera di applicazione del Protocollo.

4 Fu di fatto firmato il 2 ottore 1997 ma entrò in vigore il 1 maggio 1999

5 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CEDU) è un trattato internazionale redatto dal Consiglio europeo, firmato a Roma il 4 novembre 1950 ed entrato in vigore il 3 settembre 1953. Nel 2007 è stata ratificata da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.

6 Art 12 della Legge 40/98

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