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Hotspot di Taranto: “Non cercate qui il diritto d’asilo”

Il punto sull’hotspot pugliese, operativo ormai da marzo, nei giorni della proposta (e delle polemiche) sugli “hotspot in mare” e su nuovi centri di identificazione. Le associazioni di advocacy pugliesi denunciano l’assenza o almeno l’inadeguatezza, nel centro tarantino, dell’informazione legale al momento dello sbarco, con la conseguenza di una illegittima ed arbitraria suddivisione fra richiedenti asilo e persone classificate come “migranti economici” senza nessuna valutazione delle situazioni individuali, e dunque respinte. L’assenza di informazioni adeguate impedisce l’emergere di situazioni di vulnerabilità e l’identificazione di minori non accompagnati. A tutto questo si aggiungono il trattenimento e la lunga permanenza per mancata accoglienza…

L'hotspot di Taranto, operativo dalla metà di marzo.
Qui sopra e più avanti, nel corpo della news, due inquadrature dell’hotspot di Taranto, operativo dalla metà di marzo (foto La Repubblica, marzo 2016).

«Se è cambiato qualcosa da marzo? Tutto quello che denunciavamo purtroppo è stato confermato, anche a livello di “semplice” timore, dal momento che l’hotspot era stato appena aperto». Erminia Rizzi, di ASGI-Puglia e del Gruppo Lavoro Rifugiati di Bari, fa il punto con Vie di fuga sulla situazione dell’hotspot di Taranto, operativo dal 17 marzo al varco Nord del porto e visitato pochi giorni dopo da una delegazione di rappresentanti politici con alcune associazioni.

«L’hotspot è sempre lo stesso – riferisce oggi Rizzi -: tensostrutture, tende e container installati appositamente. Una struttura nuova, quindi, non un riutilizzo. Ma non è un centro adatto alla permanenza di persone, soprattutto per la mancanza di comfort: troppo caldo già in queste settimane, troppo freddo in inverno. Gli ambienti sono promiscui. Le procedure e i tempi di permanenza sono lunghi. E le difficoltà non mancano anche dopo che le persone sono state identificate: fuori, il sistema di accoglienza è praticamente saturo».

«Le procedure di identificazione dovrebbero essere rapide, perché secondo la legge non si può trattenere una persona per più di 48 ore senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Ma qui si va oltre, ed è già una prima illegittimità. Poi, almeno a Taranto, i migranti ci hanno detto di poter uscire dopo l’identificazione, ma, ripetiamo, il centro non è adatto ad accogliere persone per più giorni».

“Il diritto d’asilo sta altrove”

Hotspot_Taranto_2_REPUBBLICAL’hotspot tarantino oggi può “ospitare” temporaneamente fino a 400 persone, ma i numeri effettivamente presenti sono variabili, a seconda degli arrivi e degli “sbarchi”. Le associazioni possono entrare solo al seguito di rappresentanti politici.

Insomma, nell’hotspot di Taranto l’Italia garantisce il diritto d’asilo? «No, assolutamente – risponde ancora Rizzi -. Riscontriamo numerosi provvedimenti di respingimento, con l’intimazione a lasciare l’Italia entro sette giorni, che vengono messi in mano a persone che hanno una sola caratteristica comune, quella di appartenere ad alcune nazionalità, come quella egiziana o dei Paesi del Maghreb. Molti di loro chiedono poi asilo. Ma all’interno dell’hotspot evidentemente manca la chiarezza informativa. Abbiamo anche rilevato che numerosi nigeriani sono stati trasferiti nei CIE».

L’assenza di informazioni adeguate impedisce inoltre l’emersione di situazioni di vulnerabilità e l’identificazione di minori non accompagnati.

HOTSPOT-CRONACHE

28 maggio 2016 – In arrivo 700 migranti e potenziali richiedenti asilo dal Canale di Sicilia sulla nave Reina Sofia. 150 minori. Egiziani rimpatriati. Somali che rifiutano l’identificazione. Ma l’hotspot «sta reggendo» (Repubblica).

18 maggio 2016 – Appello-denuncia sull’hotspot della campagna “Welcome Taranto”: «Abbiamo visto donne ed uomini disorientati vagare per le strade limitrofe alla struttura, senza una meta precisa. Migranti respinti, lasciati in strada senza un posto nel quale dormire e mangiare, senza alcun tipo di orientamento, assistenza, supporto, esposti a tutti i rischi connessi alla precarietà giuridica e sociale. E poi ancora donne e uomini rimpatriati in base alla nazionalità di origine che, a fronte di percorsi migratori lunghi e complessi, come messaggio di benvenuto in Europa vengono immediatamente condotti nei CIE e/o su aerei diretti al Paese dal quale fuggono. Solo grazie all’intervento di molti attivisti sono stati garantiti accoglienza, pasti, orientamento…» (Melting Pot).

12 maggio 2016 – A Taranto la Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza: «L’hotspot non può essere un centro di permanenza» (Corriere di Taranto).

1° aprile 2016 – «Circa 250 migranti di nazionalità marocchina sono stati accompagnati alle porte dell’hotspot di Taranto e sono stati consegnati loro provvedimenti di respingimento differito. Questi migranti non avrebbero potuto fare altro che riversarsi nella stazione ferroviaria cittadina, abbandonati a loro stessi, senza denaro, senza sostegno di alcun tipo. La situazione che si è venuta a creare non solo non è conforme alla normativa vigente, ma si configura come una vera e propria emergenza sociale, di cui, ovviamente, le prime vittime sono i migranti» (interpellanza alla Camera di D. Duranti, 29 aprile 2016).

17-18 marzo 2016 – Arrivano dalla Calabria le prime centinaia di “ospiti” del nuovo hotspot. Ed è subito emergenza: il centro avrebbe 300 posti, gli arrivi sono 362 (Repubblica e ASGI).

Rotta dell’Adriatico, il ritorno degli scafisti (anche italiani)

2 giugno 2016: la Guardia di Finanza blocca al largo di Otranto un motoscafo con 10 migranti somali e siriani, pilotato da due scafisti (foto G. di Finanza).
2 giugno 2016: la Guardia di Finanza blocca sulla costa di Otranto un motoscafo con 10 migranti somali e siriani; arrestati due scafisti italiani, di Brindisi (foto G. di Finanza).

È da tempo, e non solo dall’apertura dell’hotspot tarantino, che sulla Puglia vengono fatti convergere numerosi gruppi di migranti soccorsi più a Sud, nel Canale di Sicilia.

Ma intanto gli “sbarchi” direttamente sulle coste della regione continuano: un fenomeno, anzi, che negli ultimi mesi si è intensificato, con caratteristiche nuove per gli ultimi anni.

Testimonia ancora Erminia Rizzi: «Intendiamoci, non faceva notizia da un punto di vista giornalistico, ma da noi in Puglia un certo flusso di migranti non si era mai fermato, con afghani nascosti nei TIR ai porti di Bari e di Brindisi e piccoli sbarchi dalla Grecia e dalla Turchia: se ne aveva notizia a posteriori perché venivano rintracciate delle persone che camminavano in strada, in stazione, e che magari in città chiedevano protezione. Ma oggi si registra un aumento».

Almeno gli eventi “tracciati” quest’anno parlano di somali, iraniani, palestinesi, afghani, pakistani, egiziani e siriani, da 12 a 50 persone per sbarco.

«No, non sono cifre che possano far gridare a una nuova “emergenza”. Ma qualcosa si sta muovendo, facendo pensare a traversate con caratteristiche sempre più simili a quelle del Canale di Sicilia. Tra l’altro abbiamo la percezione che negli sbarchi più recenti si sia fatta più numerosa la presenza di scafisti greci, albanesi e anche italiani, mentre prima i migranti usavano spesso piccole imbarcazioni acquistate e poi abbandonate una volta arrivati sulla costa».

Collegamenti

Il caso-Taranto alla Camera: l’interpellanza dell’on. D. Duranti e la risposta del sottosegretario agli Interni D. Manzione (29 aprile 2016, file .pdf)

Il rapporto del Parlamento Europeo sull'”Approccio hotspot” (fonte ECRE, in inglese, 13 maggio 2016)

Leggi anche su Vie di fuga

Diritto d’asilo: Puglia, “sommersi” e “salvati” anche dopo lo sbarco

Il nostro “dossier hotspot”

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