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Mozambico, storia di un campo profughi

Profugo congolese al campo Unhcr di Marratane

Migliaia di profughi provenienti dal Congo, dal Burundi, dal Ruanda, dalla Somalia e dall’Etiopia passano ogni anno per il Mozambico per tentare di entrare nella ricca Repubblica Sudafricana. Il Mozambico è da centinaia di anni una terra di passaggio. Si racconta che l’antica civiltà bantu, la più importante dell’Africa subequatoriale, dall’XI secolo usasse il Mozambico come porta di accesso all’oceano Indiano e all’Africa meridionale. Ancora oggi il Paese mantiene questa funzione.

Nel 2000 la popolazione rifugiata in Mozambico si è repentinamente triplicata a causa degli arrivi dal Congo Kinshasa, dal Burundi, a cui si sono aggiunti i ruandesi in fuga dai campi tanzaniani dove avevano ricevuto pressioni per il rimpatrio.  Circa metà dei rifugiati si stanzia intorno alla capitale Maputo, formando i campi di Bobole e Massaka, senza ricevere praticamente nessuna (o quasi) forma di aiuto umanitario. Il Sudafrica non tarda a richiedere lo spostamento del campo lontano dai suoi confini ponendo come ricatto quello di espellere immediatamente tutti  mozambicani stanziati nel suo territorio come  lavoratori delle miniere. Nel 2003 il governo mozambicano, lasciando malapena il tempo alll’Unhcr di organizzare lo spostamento di 1.000 rifugiati, distrugge i campi alla periferia di Maputo e concede (solo su forti pressioni internazionali)  un nuovo spazio a nord, in una delle remote e povere province del Mozambico. Nasce così l’isolatissimo campo di Marratane. 

Province del Mozambico

Il campo si trova a una decina di kilometri da Nampula (e a 2.100 kilometri da Maputo), per raggiungerlo si deve percorrere una strada di terra rossa che nel periodo delle pioggie diventa una vera e propria trappola, irta di buche e di pozze d’acqua. Negli anni il campo si è strutturato ed è diventato un villaggio, sono sparite gradualmente le tende e sono state costruite capanne di fango e paglia e diverse strutture in muratura. Ci sono botteghe di alimentari, barbieri, una chiesa, una moschea e un piccolo centro polivalente. Solo nei momenti di arrivi massivi vengono innalzati nuovamente i tendoni di plastica. Come fra  dicembre 2010 e aprile 2011 quando sono arrivati a Marratane migliaia di somali, etiopi ed eritrei a causa della siccità che aveva colpito il corno d’Africa. La popolazione del campo si è più che raddoppiata causando non pochi problemi. La situazione è però durata solo alcuni mesi; il Mozambico è un Paese poverissimo e corrotto dove le reali possibilità di inserimento sono poche e per questo è da tutti considerato solo come transito verso il Sudafrica. Gli operatori che in quei mesi hanno vissuto il campo di Marratane lo descrivono come una città dove non era più possibile passare con dei mezzi a causa del numero di persone che circolavano e sostavano ovunque.  In quei mesi la situazione del campo nel 2011 è precipitata, mancando i fondi e i mezzi per supportare i nuovi arrivi. Si sono registrati decine di decessi soprattutto legati alla malaria e al colera, inoltre per la mancanza di interpreti in grado di mediare linguisticamente gli ospedali non sono riusciti a offrire un reale supporto. A causa del clima di tensione che si viene a creare il campo viene militarizzato (Marratane fino al 2011 era noto per essere un campo “aperto” dove era possibile uscire e rientrare, anche dopo lunghi periodi) e a tutt’oggi si mantiene tale nonostante la dipartita della maggiorparte dei somali, etiopi ed eritrei.

Secondo l’Unhcr il campo di Marratane avrebbe dovuto essere dismesso nel 2008, volontà riproposta nel 2010 e riprogrammata per il 2012. In ogni occasione non è stato possibile portare avanti lo smantellamento del campo perché il numero dei profughi non è mai sceso ma anzi, con andamento oscillante, non ha fatto che aumentare. Ad oggi sono ospitati nel campo di Marratane circa 6.000 persone (anche se mancano dati ufficiali). La maggiorparte provengono dalla repubblica Democratica del Congo, in fuga dal conflitto del Kivu, ma il campo ospita anche uomini e donne di altre nazionalità.

I piani Unhcr di resettlement in un paese terzo (per lo più rivolti a nuclei familiari) riescono a garantire un futuro solo a una percentuale esigua mentre la stragande maggioranza della popolazione del campo rimane impigliata in un limbo dove il Sudafrica è troppo distante, il ritorno al Paese di origine impossibile e il futuro in Mozambico molto difficile.

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