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Nauru (Australia) e l’esternalizzazione della domanda di asilo

Il centro di detenzione di Nauru - Source News Limited
Il centro di detenzione di Nauru – Source News Limited

L’Australia è il Paese, abitato in prevalenza da occidentali, con le politiche più dure verso i richiedenti asilo e i cosiddetti migranti irregolari. E’ prassi abituale che i richiedenti asilo durante il periodo in cui vengono esaminate le loro domande sono rinchiusi in centri di detenzione fuori dai confini australiani. E fuori qualsiasi tutela e diritto.

Nauru: una Guantanamo in Oceania

Il centro di detenzione più noto a tal riguardo è quello dell’isola-stato di Nauru. E’ infatti da anni al centro di polemiche e discussioni per le condizioni in cui vengono trattati i richiedenti asilo. La recente pubblicazione di uno studio condotto dall’ex commissario dell’integrità Philip Moss ha rivelato gli abusi subiti dai detenuti e le pessime condizioni di vita al centro. Le ricerche di Moss all’interno del centro gestito dall’Australia hanno raccolto varie accuse tra cui quella di stupro di un minore, violenza sessuale nei confronti di donne in cambio di accesso alla doccia e favori personali, scambi di droghe e casi di autolesionismo diffusi anche tra minori. “Il centro a Nauru dovrebbe essere chiuso e tutti i richiedenti asilo dovrebbero essere rispediti in Australia,” ha dichiarato Amnesty International. “Amnesty non vede alcuno scopo nella detenzione dei richiedenti asilo a Nauru, oltre a quello di penalizzarli per aver cercato asilo”.

Le entrate di questa piccola isola-Stato provenivano principalmente dall’esportazione di fosfato ma, una volta esaurita questa materia prima, il Governo di Nauru ha dovuto cercare altrove le proprie risorse economiche, ed è così che nel 2001 è stato sottoscritto il Pacific Solution con l’Australia, accordo con cui Nauru accetta di ospitare un centro di detenzione per richiedenti asilo (che hanno inoltrato domanda in Australia) in cambio di aiuti economici.
A Nauru si trovano richiedenti asilo provenienti da diversi paesi fra cui Iran, Sri Lanka, Afghanistan, Bangladesh ma anche un’alta percentuale di apolidi. Una volta che l’iter burocratico si è concluso (e può durare fino a 18 mesi) e viene riconosciuto lo status di rifugiato, il titolare non sempre può lasciare l’isola e si trova a vivere insieme alla comunità locale senza nessun diritto, perlopiù emarginato.

A partire da questa situazione sono cominciate delle proteste spontanee che si stanno via via strutturando: i richiedenti asilo all’interno del centro portano avanti la loro lotta rifiutandosi di frequentare le lezioni o di parlare con gli operatori sociali, mentre i rifugiati organizzano continue manifestazioni nelle piazze di Nauru, quasi sempre contrastate dalla violenza della polizia.

Ritratto di un Paese che non vuole stranieri

L’Australia storicamente è un Paese xenofobo che per lungo tempo ha mantenuto chiuse le proprie frontiere a chi non avesse la pelle bianca. Ad oggi, nonostante abbia ratificato leggi internazionali come la Convenzione di Ginevra, l’Australia si rifiuta di diventare un paese dell’accoglienza e al contrario struttura e finanzia programmi come “Stop the boats”, per il quale nessuna persona che arrivi via mare sarà ammessa alla possibilità di fare domanda di asilo (No way. You will not make Australia home).

Il governo in carica del premier Tony Abbott non solo esternalizza il diritto di asilo, ma paga i profughi che volontariamente si offrono di rientrare nel proprio Paese d’origine e si dice anche pronto a pagare altre stati disposti ad ospitarli. Proprio nei mesi scorsi il governo australiano ha firmato un accordo con la Cambogia di circa 31 milioni di euro annui in aiuti, che prevede il ritorno “volontario” degli immigrati nel Paese asiatico, in cui 4,8 milioni di persone vivono in situazioni di profonda povertà.

Link:

Meltingpot: Una Guantanamo per gli immigrati
The Guardian: Could Australia’s “stop the boats” policy solve Europe’s migrant crisis?

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