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Questo è il mio nome, spettacolo teatrale del Teatro dell’Orsa con richiedenti asilo e rifugiati ospitati nello SPRAR di Reggio Emilia, ci ricorda il bisogno di ognuno ad essere riconosciuto come essere umano.

C’è un’autrice drammaturga francese che si chiama Helen Cixous che dice che noi andiamo a teatro altrettanto raramente che al nostro cuore, ed è di andare al cuore, il nostro e delle cose, di cui abbiamo bisogno. Perché il teatro è l’unica forma che ci dà modo di vivere la fatica di essere umani. L’incontro con i giovani che vengono dal Mali, dal Congo, dalla Nigeria, dalla Guinea, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, l’onda che sta arrivando e che cambierà il mondo, che orme lascia? Lascia orme dentro ai documenti che sono nelle Prefetture, nelle Questure, lascia orme che sono pezzi di storie che si riducono a numeri, a tempi che spesso non sono neanche precisi. Ma di che cosa abbiamo bisogno veramente? Quello che noi abbiamo cercato di fare in questo incontro è farci raccontare la parte invisibile: l’invisibile è il pezzo della nostra storia“, così Monica Morini, ideatrice e regista insieme a Bernardino Bonzani del Teatro dell’Orsa di Reggio Emilia, racconta la genesi dello spettacolo teatrale “Questo è il mio nome”.

Il progetto, iniziato a gennaio 2015, ha visto coinvolti alcuni richiedenti asilo e rifugiati accolti nello SPRAR di Reggio Emilia e appassionatisi al teatro, e ha debuttato nel settembre dello stesso anno al Festival Aperto. Lo spettacolo, che ha certamente avuto un valore catartico per i partecipanti, ha anche e soprattutto assunto un valore sociale rivolgendosi al pubblico di italiani e di migranti disposti a “mettersi in ascolto dell’Altro”.

Questo è il mio nome, foto di Nicolò Degli Incerti Tocci dal sito del Teatro dell'Orsa
Questo è il mio nome, foto di Nicolò Degli Incerti Tocci dal sito del Teatro dell’Orsa

Le storie raccontate sono storie “invisibili”, di più Odissei in viaggio approdati in Italia dall’Africa Sub Sahariana, portando nient’altro che loro stessi, le loro culture, memorie, suoni, colori, profumi, prospettive e idee. Il teatro diventa quindi “un modo di essere presenti, di essere visibili” e un’occasione per raccontare una storia, non necessariamente “la verità” richiesta dalle Questure per concedere l’asilo, ma una storia che parla della memoria, della nascita, delle parole ultime dette dalla madre o dalla nonna, dei volti di parenti e amici lasciati alle spalle, una storia che fa emergere quel “sentimento di fratellanza che ci avvicina più di quanto crediamo“, riprendendo le parole di Bernardino Bonzani.

Tu mi vedi? I can see you! Can you see me? Io ti vedo! Tu mi vedi?” è il grido finale degli attori. Un grido che ci ricorda che ognuno di noi ha bisogno di essere riconosciuto da qualcuno che gli sta di fronte, che lo vede, lo guarda negli occhi e lo riconosce in quanto essere umano, che conferma quindi il suo diritto ad esistere. “La verità è che [tutti noi] abbiamo diritto ad essere felici, la verità è che abbiamo bisogno di essere amati“, di vedere riconosciuta la dignità di essere umani, indipendentemente dal responso delle domande d’asilo o dai respingimenti alle frontiere. La verità è che ognuno deve poter dire: “Questo è il mio nome”.

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Questo è il mio nome, foto di Nicolò Degli Incerti Tocci dal sito del Teatro dell’Orsa

Lo spettacolo è stato realizzato in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia, la Cooperativa Dimora d’Abramo, il Progetto SPRAR, il Centro di Accoglienza Straordinaria e la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, ed ha inoltre ricevuto il Premio del Pubblico al 15° Festival di Resistenza, Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria.

Per approfondire:
-Il sito ufficiale del Teatro dell’Orsa: http://www.teatrodellorsa.com/questo-e-il-mio-nome/
-Il video di presentazione di ArtMaker.tv: https://www.youtube.com/watch?v=MS0Mzwdg-64
-L’intervista ai registi su The Bottom Up: https://thebottomup.it/2016/10/01/questo-mio-nome-rifugiati-teatro/

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