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Popolazione: 21.900.000 (di cui, oggi, oltre 3.700.000 rifugiati nei soli Paesi confinanti)

Capitale: Damasco

 

Siria_Mappa_WIKIPEDIALa Siria (Repubblica Araba di Siria), 185 mila chilometri quadrati di superficie (quasi due terzi dell’Italia), si affaccia a Ovest sul Mediterraneo e confina a Nord con la Turchia, a Est con l’Irak, a Sud con la Giordania e a Ovest con Libano e Israele. Il Paese è (o è stato per secoli e millenni, fino alla catastrofe della guerra civile scoppiata nel 2011) un mosaico di etnie, religioni, lingue in precaria convivenza. La popolazione è formata soprattutto da arabi, ma anche da curdi e armeni. Sul piano religioso prevale l’islam sunnita accanto a minoranze sciite, cristiane e druse; fra le lingue prevale l’arabo, ma fra le minoranze si parlano, tra l’altro, curdo, armeno e aramaico.

Tipo di governo e politica recente

La Siria moderna si è resa indipendente dalla Francia nel 1946, ma la generale instabilità del Medio Oriente e le tensioni interne ne tormentano la vita politica fin dall’inizio. Nella guerra arabo-israeliana del 1967 perde le alture del Golan, occupate da Israele. Nel 1970 prende il potere Hafez al Assad, militare, esponente del partito Baath e membro della minoranza sciita degli alawiti. Resterà presidente fino alla morte, nel 2000. Autoritarismo e politica anti-occidentale segnano il suo lungo regime. Negli anni ’70 la guerra civile libanese gli consente di estendere l’influenza militare e politica della Siria nel Paese dei cedri. Nel 1982 reprime la rivolta della città di Hama con un massacro di decine di migliaia di persone.

Nel 2000 gli succede il figlio Bashar, trentacinquenne. Come segnale di “apertura” c’è, subito, il rilascio di 600 prigionieri politici. Seguono anni di relazioni internazionali altalenanti. Nel 2002 la presidenza di George Bush jr. cataloga la Siria fra i Paesi dell’«asse del male». Nel 2005 il regime cade sotto sospetto per l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafiq al Hariri. Nello stesso anno le forze armate siriane si ritirano dal Paese dei cedri. Nel 2007 l’Unione europea rilancia il dialogo con la Siria e il ministro degli Esteri Walid al Muallem incontra il segretario di Stato americano Condoleezza Rice. Ma nello stesso 2007 un attacco aereo israeliano colpisce quello che viene ritenuto un impianto nucleare in costruzione in Siria settentrionale. Nel 2008, l’incontro a Parigi di Bashar al Assad con il presidente francese Nicolas Sarkozy segna la fine dell’isolamento internazionale del regime dopo l’assassinio di Hariri. Nel 2010, tuttavia, gli Usa rinnovano le sanzioni contro la Siria, accusata di sostenere gruppi terroristi e di perseguire programmi per dotarsi di armi di distruzione di massa.

La guerra

Proteste_2011
Siria: le proteste del 2011 (foto BBC).

Oggi la Siria sta per entrare nel quinto anno di una guerra civile che ne ha fatto un Paese in sfacelo. All’origine del conflitto c’è la sanguinosa repressione delle proteste di piazza contro il regime iniziate nel marzo 2011, a Damasco e nella città meridionale di Dar’a, sull’onda della “Primavera araba”. Questi scontri sono presto degenerati in una (o più) guerre dalle alterne vicende. Contro il regime di Assad si è schierato un fronte poco compatto che, fra numerose sigle e realtà, conta l’Esercito siriano libero, Jabhat al Nusra, il Fronte islamico e il Fronte rivoluzionario siriano. Mentre nel 2014, nello sfaldarsi dei confini nazionali, l’organizzazione armata sunnita dell’autoproclamato “Stato islamico” (sigla internazionale Isis, o Is) guidato da Abu Bakr al-Baghdadi ha preso il controllo sia di larga parte della Siria settentrionale e orientale sia dell’Iraq nordoccidentale. La “capitale” dell’Is si trova a Raqqa, in territorio siriano.

In una prospettiva macro-regionale ancora più ampia la Siria è divenuta un campo di battaglia che ha visto entrare in gioco, in una confusa “guerra per procura” di proporzioni e atrocità inaudite, anche gli interessi di alcuni Paesi della Penisola arabica (Arabia Saudita in testa), della Turchia, dell’Iran e del gruppo politico-militare libanese di Hezbollah (sciita come l’Iran e come il gruppo religioso degli alawiti), senza dimenticare le storiche alleanze di Stati Uniti, Russia e Cina.

La comunità internazionale, tutt’altro che unanime sulla politica da tenere nei confronti del regime di Damasco, ha appoggiato in larga parte il fronte d’opposizione e nel dicembre 2012 Usa, Inghilterra, Francia, Turchia e Paesi del Golfo hanno riconosciuto la Coalizione nazionale siriana, che raggruppa una parte degli oppositori del regime, come «rappresentante legittimo» del popolo della Siria). Ma nel 2013 gli entusiasmi occidentali si sono raffreddati di pari passo con i successi militari dell’ala islamista dei “ribelli”.

Il centro di Homs dopo due anni di assedio (foto BBC).
Il centro di Homs dopo due anni di assedio (foto BBC).

Nel frattempo sanzioni, pressioni ed embarghi non sono riusciti a fermare la guerra: le Nazioni Unite hanno ottenuto solo un round di colloqui di pace a Ginevra nel gennaio-febbraio 2014, subito abortito, e la distruzione delle armi chimiche del regime di Damasco. Per conto dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, alcuni esperti hanno calcolato che dal marzo 2011 alla fine d’aprile 2014 scontri e massacri in Siria sono costati la vita ad almeno 191.000 persone.

Fra l’estate e l’inizio dell’autunno 2014 una coalizione fra gli Usa e alcuni Paesi arabi, ai quali si sono aggiunti vari Paesi occidentali fra cui l’Italia (anche se i pochissimi velivoli italiani impiegati si limitano a compiti di ricognizione e rifornimento in volo), ha lanciato una campagna di raid aerei contro le postazioni dell’Isis sia in Irak che in Siria, in appoggio alle forze armate irachene e a quelle curde presenti in entrambi i Paesi. I raid proseguono tuttora, anche se con dubbi risultati.

Così l’Unchr riassumeva la situazione a ottobre: «Quasi tutte le aree del Paese sono coinvolte in violenze: violenze messe in atto da attori diversi in conflitti che in parte si sovrappongono, ed esacerbate dalla partecipazione di combattenti stranieri in ogni schieramento. I combattimenti fra le forze governative e lo schieramento antigovernativo proseguono implacabili. In parallelo l’Isis ha consolidato il proprio controllo su aree significative del Nord e del Nordest del Paese e ingaggia frequenti scontri armati con le forze antigovernative, le forze curde (Unità di protezione popolare-Ypg) e quelle governative. Il lancio di attacchi aerei contro bersagli dell’Isis il 23 settembre 2014 ha aggiunto al conflitto l’ennesimo fattore di complessità».

2014: rifugiati siriani curdi attraversano il confine con la Turchia (foto UNHCR).
2014: rifugiati siriani curdi attraversano il confine con la Turchia (foto UNHCR).

Nel nuovo World Report 2015 (gennaio 2015), dal canto suo, Human Rights Watch ha denunciato per il 2014 l’escalation di una guerra civile che si è fatta sempre più sanguinosa. Milizie “ribelli” e soldati governativi si sono accaniti su aree abitate da civili con un uso indiscriminato delle armi a disposizione. Entrambi gli schieramenti sono anche responsabili di arresti arbitrari e torture. “Lo Stato islamico e Jabhat al-Nusra, affiliato ad al Qaeda, si sono resi responsabili di violazioni sistematiche e diffuse su civili, rapimenti ed esecuzioni”: nel mirino, in particolare le minoranze religiose non sunnite (anche se, avverte la saggista Loretta Napoleoni, esperta di finanziamento dei gruppi terroristici, quello che sembra campeggiare come il tragico versante “religioso” della guerra di Siria ha in realtà “motivazioni economiche, le cui radici affondano nella lotta per il controllo della regione” (in Isis, p.102).

Intanto, il “simbolo” della fase più recente della guerra (un simbolo che ha suscitato nuovi entusiasmi in Occidente) è la città a maggioranza curda di Kobane, sul confine settentrionale fra Siria e Turchia: assediata e in parte occupata dall’Isis nel corso di un’offensiva scatenata a settembre 2014, è stata «liberata» alla fine di gennaio 2015.

Profughi, sfollati e rifugiati

2014: una rifugiata siriana ospite di una comunità cristiana in Turchia (foto UNHCR).
2014: una rifugiata siriana ospite di una comunità cristiana in Turchia (foto UNHCR).

In particolare nel Nord siriano, afferma una testimone oculare della catastrofe, “la società è in rovina. Chi poteva fuggire se n’è andato e quelli che sono rimasti sono troppo poveri o troppo vecchi per partire” (in Isis, p.43).

La guerra civile ha fatto della Siria (un Paese tutt’altro che “felix” ma che secondo l’Onu aveva raggiunto una posizione intermedia nelle classifiche globali dello “sviluppo umano”) l’epicentro della più grave emergenza umanitaria dei nostri anni. Fra 2013 e 2014, secondo l’Unhcr, «la situazione si è ulteriormente deteriorata in termini di sicurezza, diritti, sradicamento forzato e bisogni umanitari».

Già nel marzo 2014 guerra e violenze avevano provocato lo sradicamento forzato di quasi metà della popolazione siriana: a quella data si contavano 6.450.000 sfollati interni e oltre 3.200.000 rifugiati registrati nei Paesi confinanti. Su scala globale, alla metà del 2014, quella siriana era la più vasta popolazione rifugiata sotto mandato Unhcr (fino a due anni prima la repubblica mediorientale non figurava neanche nella lista dei 30 Paesi d’origine principali). Sempre a metà 2014, gli sfollati interni erano ormai 6.500.000: anche qui la nazionalità più numerosa al mondo di internally displaced people.

Ma alla fine di gennaio 2015 i rifugiati siriani nei soli Paesi confinanti erano ormai più di 3.700.000, di cui quasi 1.200.000 nel solo Libano, oltre 600.000 in Giordania, oltre 1.600.000 in Turchia e i rimanenti suddivisi fra Nordafrica e Irak.

Famiglia reinsediata in Svezia
2014: una famiglia siriana arriva in Svezia grazie a un programma di “reinsediamento” (foto UNHCR).

Nel 2013 sono stati appena 5.600, invece, i rifugiati siriani “reinsediati” in Paesi più sicuri rispetto a quelli di prima accoglienza (mancano ancora i dati per il 2014). L’Unhcr aveva chiesto alla comunità internazionale il reinsediamento (o altri “programmi di ammissione umanitaria” ad hoc) per 30.000 siriani nel 2013 e nel 2014 (appena l’1% dei siriani precariamente accolti nei Paesi confinanti…). Per il 2015 e il 2016, invece, la richiesta dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati è di 100.000 unità.

Quanto all’Italia, i cittadini siriani che decidono di chiedere protezione nel nostro Paese sono pochissimi, malgrado siano la cittadinanza di gran lunga più numerosa non solo negli “sbarchi” e nei “salvataggi” lungo le nostre coste, ma anche fra i richiedenti asilo nel territorio dell’Unione europea.

Presentiamo di seguito una sintetica serie storica delle domande d’asilo presentate da cittadini siriani nei 44 Paesi più industrializzati del mondo e fra parentesi, se disponibili, i richiedenti asilo siriani in Italia. Le fonti sono rispettivamente l’Unhcr e la Commissione nazionale asilo.

Anno

2014 primo semestre: 48.376 domande (290 richiedenti registrati in Italia; 505 in tutto l’anno)

2013: 56.319 domande (635 richiedenti registrati in Italia)

2012: 25.218 domande (354 richiedenti registrati in Italia)

2011: 8.495 domande (336 richiedenti registrati in Italia)

2010: 4.996 domande (dato di richiedenti non disponibile per l’Italia)

2009: 5.116 domande (dato di richiedenti non disponibile per l’Italia)

Bibliografia, linkografia, filmografia

Unhcr, International Protection Considerations with regard to people fleeing the Syrian Arab Republic, Update III, ottobre 2014

Bbc, Syria profile, gennaio 2015

Human Rights Watch, World Report 2015. Syria, febbraio 2015

Unhcr, Syria regional refugee response, gennaio 2015

Unhcr, Asylum Trends, Mid-Year Trends e Global Trends 2010-2014, in www.unhcr.org, sez. Statistics

Sozzi Mirtha, La guerra civile siriana, maggio 2014, in Viedifuga.org

L. Napoleoni, Isis, Feltrinelli 2015 (III ed., ed. orig. 2014).

Silvered Water – A Syria self-portrait (di Ossama Mohammed, Wiam Simav Bedirxan, Francia-Siria 2014), drammatico, 92

The Return to Homs (di Talal Derki, Siria-Germania 2013), documentario, 80′

Uprising (di Peter Snowdon, Belgio-Regno Unito 2013), documentario, 79′

Isqat al Nizam – Ai confini del regime (di Antonio Martino, Italia 2012), documentario, 74′

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