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Torino: anche il diritto alla casa dei rifugiati dell’ex Moi alla “Biennale della democrazia”

Nell’ambito della “Biennale della democrazia” un incontro sulla “questione abitativa” di rifugiati e migranti  ha fatto emergere come il bisogno di casa faccia parte di un contesto più ampio, fatto anche di formazione, di lavoro. E della capacità di rompere «confini emergenziali».

* di Maria Lucia Di Stefano

Locandina-ex-moi-Bndemocrazia_marzo_2015Gli abitanti dell'”ex Moi” che fu il villaggio olimpico di Torino 2006 ieri sono stati ospiti al Campus torinese Luigi Einaudi per un dibattito su “Diritti e questione abitativa”, organizzato nell’ambito della “Biennale della Democrazia 2015″.

Si tratta delle persone che sono state protagoniste (con l’aiuto dei centri sociali Gabrio e Askatasuna) dell’occupazione delle palazzine in via Giordano Bruno dopo essere rimaste senza supporto alla fine dell'”emergenza” Nord-Africa.

E l’Università?

Dal canto suo l’Università di Torino ha voluto lanciare un messaggio: come ambiente di ricerca si ripropone di conoscere le persone, e quindi anche i rifugiati che abitano la città, di fare luce su ciò che accade intorno ai luoghi di cultura e di proporre uno sguardo sulla città attraverso i loro occhi: quasi una “guida” per e con i migranti.

Affrontare la questione abitativa dei rifugiati politici significa capirne le condizioni di disagio, dal bisogno di avere una casa decente all’inserimento sociale. Purtroppo la ricerca di un tetto riserva a molti rifugiati (come a molti immigrati) non poche difficoltà come, ad esempio, canoni abitativi troppo esosi per chi non ha una fonte di reddito certa o sufficiente.

L’Università si propone così di aprire un dialogo non in chiave emergenziale, ma in un confronto che veda i rifugiati politici prima come persone per poi concentrarsi sul loro status giuridico. L’ateneo, certo, non può offrire lavoro o appartamenti, ma può contribuire a rompere i confini emergenziali che da troppo tempo investono le vite delle persone che provengono da altri Paesi.

Un’esperienza. E un sistema da ripensare

Il Comitato di solidarietà rifugiati e migranti di Torino in questi due anni, prima di ogni altra istituzione con compiti di accoglienza, ha costruito un percorso aiutando circa 750 persone a riacquistare fiducia in se stesse, partendo dall’attivazione di una scuola di italiano. Ci sono casi di studenti che, dopo aver frequentato la scuola gestita dai volontari del Comitato, sono riusciti a ottenere un diploma di terza media.

E alcuni sono andati avanti riuscendo a trovare lavoro in stabilimenti industriali nei comuni limitrofi, arrivando a ottenere un contratto che ha permesso loro di affittare un appartamento in autonomia.

Non sono risultati scontati, se consideriamo le vicende di queste persone. Nella maggior parte dei casi, trattandosi di migrazioni forzate, sono rimaste abbandonate a se stesse, costrette a ricostruire senza mezzi, e senza conoscere la lingua, una rete sociale in un Paese che spesso non riesce a garantir loro un’accoglienza dignitosa.

Bisognerebbe riprogettare l’intero sistema d’accoglienza per accompagnare i migranti nel loro percorso di integrazione, assicurando un’adeguata formazione “scolastica” e professionale che li aiuti a inserirsi al meglio nel contesto sociale del Paese che li ospita. E rendendosi conto, a questo punto, che la “questione abitativa” si inserisce in un contesto molto più ampio.

Leggi anche su Vie di fuga

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