Vie di Fuga ha intervistato Padre Sandro Messina, sacerdote della Diocesi di Fano e direttore della locale Fondazione Migrantes, che ha partecipato all’ultima missione di salvataggio della ONG Mediterranea Saving Humans, imbarcandosi sulla barca a vela che ha seguito la Mare Jonio nei suoi tre giorni di navigazione.
Padre Sandro iniziamo a chiederle come è nata l’iniziativa a cui ha preso parte a fine agosto
Tutto nasce a fine marzo quando è stata organizzata a Fano una cena di raccolta fondi per sostenere le attività della ONG Mediterranea Saving Humans. Io vi ho preso parte e durante questa occasione ho espresso a Luca Casarini il desiderio di partecipare come volontario a una delle missione della Mare Jonio. Purtroppo non era possibile per questioni logistiche ma io e Luca Casarini abbiamo comunque mantenuto i contatti ed è stato lui a propormi, in un secondo momento, di coinvolgere la Fondazione Migrantes. L’unica soluzione possibile era infatti finanziare una barca d’appoggio che avesse l’unica funzione di osservazione e documentazione di ciò che avveniva in mare.
Devo aggiungere che questa iniziativa nasce, non a caso, in un preciso momento storico. Negli ultimi mesi stava prevalendo un silenzio su ciò che accade in mare e quando il silenzio è stato rotto è stato per fornire informazioni parziali che non riflettono la drammaticità della situazione. Il Ministero dell’Interno ha dichiarato a gran voce che gli sbarchi in Italia nel 2024 sono notevolmente diminuiti, tralasciando di comunicare il numero delle persone respinte in Libia e in Tunisia. Quindi era per me molto importante tenere in vita e comunicare al più ampio numero di persone ciò che fanno le ONG in mare.
Quali sono le sue riflessioni dopo tre giorni in mare?
In realtà non si è trattato di soli tre giorni. Il viaggio si è prolungato per i tempi tecnici legati alla complessità delle missioni in mare. Questi giorni aggiuntivi sono stati importantissimi perché abbiamo avuto una formazione indispensabile per affrontare l’imminente partenza. Proprio durante questa formazione ho potuto rendermi conto dell’altissima professionalità, preparazione e passione di chi opera in mare. La prima riflessione riguarda quindi gli operatori umanitari, siano essi marittimi che membri del rescue team, perché ci hanno saputo trasmettere un’enorme professionalità e al contempo un’umanità senza pari.
Una seconda riflessione emerge a seguito dell’ultimo salvataggio avvenuto alle prime luci del terzo giorno. Io non ho mai visto in tutta la mia vita occhi più brillanti e felici di quelli degli uomini che sono stati recuperati dall’equipaggio della Mare Jonio. Era come vedere rinascere alla vita degli esseri umani dopo che erano transitati in un tunnel di morte, dolore e disperazione. Quindi mi sono chiesto e mi chiedo quante vite potremmo salvare se in poche ore siamo riusciti a soccorrere 182 persone? Quanta indifferenza c’è verso questa umanità? Quanto potremmo fare di più?
Una terza riflessione riguarda una consapevolezza che ho maturato. Dopo questa esperienza ho compreso di più la parabola del buon Samaritano. Qui sulla terra noi siamo i locandieri pagati per dare cure e ospitalità. Io, in mare, ho avuto il privilegio di aver fatto un tratto di strada come fa il buon Samaritano: sta a noi di percorrere le strade per salvare uomini, donne e bambini. Ogni giorno c’é qualcuno accanto a noi che chiede aiuto; siamo noi che scegliamo di passare per altre strade per non vederli, per non aiutarli.
La mia ultima riflessione è proprio sull’indifferenza: dobbiamo lottare contro questa indifferenza e fare tanto di più per parlare e raccontare ciò che succede sulle rotte migratorie. Ringrazio papa Francesco per aver detto chiaramente dopo la missione che la vera tragedia è che la maggior parte dei morti in mare potevano essere salvati e che c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti.
Come vede il futuro prossimo delle migrazioni e della politica che vi ruota intorno?
Vedo da una parte chi nel silenzio continua a fare accordi per tenere i migranti lontano e dall’altra vedo tanti volontari che non demordono e continuano a lottare, a rischiare e a salvare vite. A proposito di questo pochi giorni fa è stato notificato all’armatore e al comandante della Mare Jonio un provvedimento che la diffida dal continuare a intraprendere ogni attività di ricerca e soccorso in mare. Le difficoltà non sono quelle del mare ma quelle della burocrazia e dell’indifferenza degli essere umani verso gli altri esseri umani. Grazie a Dio c’e chi non si arrende e questo è il seme di speranza e la forza che deve illuminare il presente e il futuro.
Vuole concludere con un’immagine?
Con noi c’era un ragazzo scappato dal Senegal a 16 anni. Oggi è un mediatore culturale che lavora anche in Parlamento. Ha voluto tornare a percorrere il Mediterraneo centrale perché vuole salvare i propri fratelli in mare.
Sulla Mare Jonio ha re-incontrato il capitano della missione che anni fa lo aveva tratto in salvo ed è stato il primo momento molto commovente ma ciò che mi ha colpito maggiormente sono stati i suoi ringraziamenti: “In questi giorni ho fatto la cosa più grande della mia vita che non è lavorare in Parlamento o incontrare presidenti ma aver salvato i miei fratelli da morte sicura”.
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