Una lettera aperta sul diritto dei richiedenti asilo all’esenzione dai ticket sanitari: “I due-sei mesi di esenzione previsti della normativa italiana sono inadeguati e violano la normativa UE”.
Nelle Asl molti richiedenti asilo stanno già rinunciando a visite specialistiche o indagini per supportare la loro richiesta d’asilo (consulenze in ambito di salute mentale, dermatologico, chirurgico, medico legale ecc.) o per accedere a cure specifiche o anche a esami infettivologici di prevenzione. Il motivo? Non possono permettersi i costi.
Ma questi ritardi nelle diagnosi e nelle cure finiscono per determinare poi “costi” sanitari e sociali «assai elevati sia per la salute individuale (aggravamento, complicazioni, cronicizzazioni) sia in termini di salute collettiva», cioé la salute di tutti, richiedenti e non richiedenti, cittadini italiani e non cittadini…
La denuncia proviene da un gruppo di organismi e associazioni, in una lettera aperta sul diritto dei richiedenti asilo all’esenzione dai ticket sanitari indirizzata in primis al ministero della Salute e, fra gli altri destinatari, alla Conferenza delle Regioni.
Direttiva accoglienza, articolo 17…
Sul tema dell’esenzione, come spiegano le realtà firmatarie della lettera, sia il Ministero che le Regioni «fanno riferimento alla normativa generale in materia di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria. In applicazione di tale disciplina, il richiedente asilo viene equiparato al “disoccupato” avente diritto all’esenzione solo per il periodo in cui non è autorizzato allo svolgimento di attività lavorativa».
Alla fine di questo periodo, secondo molte Regioni il richiedente perde il diritto all’esenzione, che abbia o meno trovato effettivamente un lavoro. «Tale interpretazione – si legge nella lettera – risulta estremamente preoccupante soprattutto se si considera che l’art. 22 del Dlgs 142/2015 ha ridotto a 60 giorni il limite per l’accesso al mercato del lavoro del richiedente protezione internazionale, con conseguente rischio di comprimere ad un periodo brevissimo la possibilità del richiedente di accedere effettivamente ai servizi sanitari».
Ma le norme italiane (che comprendono anche la la nota n. 10.7.2015 in cui il ministero della Salute ha indicato alle Regioni che «l’esenzione può essere riconosciuta solo per i primi sei mesi dalla richiesta di asilo») sono inadeguate rispetto a quanto previsto nell’art. 17 della “direttiva accoglienza” 2013/33/UE.
«Per il diritto europeo – si spiega ancora nella lettera – il richiedente asilo può essere chiamato a contribuire ai costi per l’assistenza sanitaria solo nella misura in cui egli sia in grado di farvi fronte, ad esempio, perché occupato da un ragionevole periodo di tempo».
Inoltre, già per la normativa italiana è chiaro che tutti i richiedenti asilo in accoglienza devono essere considerati di fatto privi dei “mezzi di sussistenza” necessari a una vita indipendente.
“Nuove istruzioni alle Regioni urgono”
Su queste basi i firmatari della lettera aperta, ricordando che la normativa dell’Unione Europea deve essere applicata anche se è in contrasto con la legislazione nazionale, chiedono al Ministero di dare «al più presto alle Regioni nuove e più generali istruzioni, conformi al diritto dell’Unione, sull’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria dei richiedenti asilo, mediante le quali sia anche revocata e sostituita ogni altra nota o circolare contenente indicazioni contrastanti con tale normativa».
Questo l’elenco dei firmatari del documento: ASGI, S.I.M.M.-Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, U.N.H.C.R., Fondazione Migrantes, Caritas Italiana, A.C.L.I., F.C.E.I, Centro Astalli, Amnesty International Italia, A.R.C.I., Medici Senza Frontiere, Emergency, Medici per i Diritti Umani, NAGA Onlus, Focus-Casa dei Diritti Sociali, C.I.R., Avvocato di Strada e Senza Confine.
Allegato
Il testo della lettera (file .pdf)
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