Fine estate 2017: la sfida delle migrazioni dall’Africa secondo Germania, Francia, Italia e Spagna e secondo le ONG di cooperazione e solidarietà internazionale. A mo’ di note a margine, le riflessioni del sociologo Ambrosini sullo slogan “aiutiamoli a casa loro” e l’esperienza e le proposte di una esperta di cooperazione. E nei “collegamenti” di questa news, i link di prima mano per orientarsi sulle politiche dell’UE sulle “pressioni migratorie”.
A quando «un concreto piano con l’Africa» che finalmente affronti le tante «questioni sulle quali non c’è ancora condivisione e che sono alla base dei flussi migratori»? Lo hanno chiesto in queste settimane, dopo lo “spettacolare” vertice quadrilaterale di Parigi di fine agosto fra i leader di Francia, Germania, Italia e Spagna con la partecipazione di Libia, Ciad e Niger, le due grandi reti italiane di ONG di cooperazione e solidarietà internazionale, l’AOI e Concord Italia.
Per le ONG, dalla dichiarazione congiunta di Parigi del 28 agosto emerge «un vero e proprio piano per la gestione dei flussi migratori» (in sintesi, una delega sostanziale di gestione dei flussi ai Paesi africani in cambio di maggiore cooperazione), e però di corto respiro e focalizzato perlopiù sul controllo e sul contenimento di questi flussi, mentre parla ben poco «di sviluppo e di costruzione di Stati di diritto: le vere cause profonde delle migrazioni, assieme alla povertà e alla disuguaglianza».
In particolare, per l’AOI e Concord Italia (che hanno diffuso un documento di analisi, denuncia e proposta, vedi sotto nell’allegato), le questioni “scomode” dimenticate da Parigi, Berlino, Roma e Madrid sono: le guerre alimentate dal colossale business Nord-Sud del commercio d’armi; la crescente emergenza ambientale (con i doveri e gli impegni contro il climate change e il finanziamento del Fondo verde per il clima); le fughe dei capitali dall’Africa e l’evasione-elusione delle tasse da parte delle multinazionali «che riducono gli introiti per gli Stati africani in misura di almeno 50 miliardi di dollari l’anno» (qui si potrebbe fare qualcosa con la chiusura dei centri finanziari off shore e una maggiore trasparenza nella rendicontazione); la lotta alle speculazioni finanziarie che causano le “guerre del pane” (contrastabili con l’adozione della tassa sulle transazioni finanziare “ad alta frequenza”); una politica commerciale che favorisca veramente l’industrializzazione degli Stati africani «e quindi l’occupazione locale» (revisione dell'”European African Partnership”); e infine, la necessità di un piano per gli investimenti che nel continente «sostenga le comunità locali e non gli interessi delle grandi imprese europee».
AOI e Concord dettagliano una serie di proposte e raccomandazioni. E fanno appello non solo a governi e istituzioni: «Se da un lato è da salutare positivamente il riconoscimento e l’appoggio europeo della spinta italiana per una gestione dei flussi migratori più condivisa e responsabile, dall’altro è necessario che la società civile faccia sentire la sua voce in modo propositivo per rivedere un piano che mostra diverse criticità».
Migrazioni & dintorni: i miti e lo slogan
“Mi hanno raccontato perché partono” – «Lungo il corridoio migratorio che dalla Guinea Bissau arriva in Senegal ho incontrato potenziali migranti, e altri di ritorno dalla Libia, con il loro bagaglio di orrori. Tutti conoscevano i rischi del viaggio, eppure sono partiti. Perché? Raccontano del desiderio di un futuro dignitoso, dello status che ottieni in seno alla comunità: i migranti che aiutano le famiglie sono considerati simboli di successo… La migrazione economica deriva da un intreccio di povertà, sottoccupazione, stress ambientale (siccità), mancanza di infrastrutture sociali, cultura, pressione antropica». È la testimonianza di Alessandra Testoni, esperta di cooperazione Internazionale, pubblicata ad agosto su Corriere della Sera 7 con il titolo “Cosa possiamo fare?”. Mito & contro-mito – Alla domanda/titolo del suo contributo sul Corsera 7 (v. sopra) Testoni risponde con 4 proposte su cui si potrebbe lavorare «subito», senza aspettare improbabili grandi riforme del sistema d’asilo dell’UE e altrettanto improbabili miglioramenti geopolitici: 1) creare canali legali di migrazione, 2) trasformare la legalità in un incentivo, 3) lavorare all’integrazione («seriamente») e 4) aiutare a sostituire il mito dell’Europa come “terra delle infinite opportunità” con un altro: il successo nel proprio Paese d’origine. “Aiutiamoli a casa loro”: così, semplice, così superficiale – «Lo slogan “aiutiamoli a casa loro” è tornato alla ribalta nel dibattito pubblico, perché è un’idea semplice, accattivante, apparentemente molto logica. È però superficiale», afferma e argomenta il sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini su Lavoce.info. Secondo Ambrosini, non sarà il modesto e discutibile aumento degli aiuti all’Africa (condizionato anche all’uso di “maniere forti”) a fermare i flussi migratori. Poveri. E più poveri – In Europa «gli immigrati non arrivano dai Paesi più poveri del mondo (in Italia sono prevalentemente europei, donne, provenienti da Paesi di tradizione cristiana) e non sono i più poveri dei loro Paesi: per emigrare occorre disporre di risorse. Questo vale anche per i rifugiati. I più poveri di norma fanno poca strada…. Per esempio si urbanizzano, più che dirigersi verso l’Europa» (Ambrosini, ivi). |
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