Qu’ils reposent en révolte (des figures des guerres) – di Sylvain George – Documentario – Francia 2010 – 150′
Qu’ils se reposent en révolte è la seconda parte di un trittico realizzato dal cineasta francese Sylvain George. Racconta un viaggio nell’arco di tre anni all’interno della cosiddetta “foresta” di Calais, una terra di frontiera, un limbo in cui risiedono forzatamente molti migranti che vorrebbero raggiungere le coste inglesi. Spogliati di ogni diritto, trattati come criminali, ridotti allo stato di “puri corpi” o “nude vite”, uomini e donne, diventano mere figure di guerra. L’occhio del regista li segue con partecipazione e rabbia, registrando i loro gesti che cercano di essere normali e dignitosi, pur nascendo e vivendo in una situazione degenerata.
Il documentario è realistico e, benché duri molto, non risulta pesante o noioso. Si potrebbe pensare che il regista abbia voluto rendere i tempi reali dell’azione, quasi per far immedesimare lo spettatore nella situazione e fargli provare, almeno un pò, la sensazione dell’attesa, del tempo estremamente dilatato in cui i protagonisti sono costretti a mettere in atto strategie di sopravvivenza. La concretezza e il realismo delle immagini sono trasmessi dall’uso di riprese molto ravvicinate dei corpi e dei dettagli degli stessi. Sono degli zoom che, a dire il vero, propongono un reale enfatizzato, ingrandito oltre misura. Normalmente, infatti, l’occhio umano non si avvicina così tanto a delle persone sconosciute, ai dettagli del loro corpo, alle mani rovinate, ai piedi feriti, ai visi incappucciati, tuttavia questo escamotage porta a pensare che si abbia a che fare con qualcosa di vero.
L’uso della pellicola in bianco e nero e la scelta di una qualità fotografica piuttosto sgranata sono modi di girare scelti appositamente per riportare ancora una volta gli eventi in modo realistico e non in modo cinematografico. E’ come se le immagini venissero proiettate direttamente dagli occhi dei protagonisti, risultando quindi un po’ imperfette e apparentemente prive di uno schema di regia preciso.
Dopo lo spazio, il tempo. Le immagini crude che vengono proposte hanno la capacità di connettere la mente dello spettatore a un asse temporale che parte da momenti di un tempo passato e arriva a momenti di un tempo che verrà, di cui non si sa molto.
Il prima riguarda l’esperienza del viaggio che ha portato i migranti sino a lì: vedere da vicino le ferite sui corpi richiama all’esperienza della fuga, rimasta addosso come uno stigma. Il futuro è nella speranza atroce legata al fuoco e a un chiodo incandescente con cui prodursi ustioni sulla carne viva dei polpastrelli per non essere identificati e per riuscire a essere ammessi nella terra agognata: la Gran Bretagna. Ma cosa capiterà? Li identificheranno oppure no?
Il film termina in parte con la chiusura di una situazione, in parte rimane in sospeso.
Cosa succederà dopo?
Il documentario di Sylvain George è stato proiettato all’interno della rassegna “Crocevia di sguardi”: un’iniziativa che, da sette anni a Torino, propone proiezioni a ingresso libero di documentari e approfondimenti per capire le migrazioni. La rassegna è a cura di Pietro Cingolani e Francesco Giai Via, realizzata da FIERI e dall’associazione culturale Antiloco in collaborazione con il Cinema Teatro Baretti, la Casa del Quartiere di San Salvario, il Cinema Blah Blah, la manifestazione Civilmente dell’Osservatorio sull’economia civile della Camera di Commercio di Torino e Libera Mensa e grazie al finanziamento della Fondazione CRT.
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