Dal Canale di Sicilia ad Augusta, da Augusta a Catania e da Catania, dopo uno scalo, direttamente al CIE di Torino. Il tutto in due giorni, e senza sapere perché. La storia di 16 giovani gambiani che si sono trovati in mano un decreto di respingimento perché nessuno, a quanto pare, ad Augusta aveva loro parlato della possibilità di chiedere asilo in Italia.
Torino, mercoledì 21 ottobre 2015, sera. Allo Juventus Stadium si gioca Juventus-Borussia Mönchengladbach di Champions League. In zona corso Giulio Cesare, quattro giovani gambiani e un operatore della Pastorale Migranti sono alle prese con un’altra sfida: trovare un letto in un alberghetto o una pensione per il gruppetto di giovani.
La Juve pareggia 0-0, gambiani e operatore perdono 0-4: non si trova un posto letto libero, proprio per via del match allo Juventus Stadium. Sono ormai le 21.00. Va a finire che per una notte i quattro gambiani sono ospitati a casa dell’operatore. Quello stesso giorno sono stati liberati dal CIE torinese senza un minimo di accoglienza istituzionale, neanche provvisoria.
Da quattro a sette, da sette a sedici
Il giorno dopo, dal CIE, di gambiani ne escono altri tre. Non sanno dove andare. Gli hanno detto di chiedere ospitalità al dormitorio del Sermig, non lo trovano e in Barriera di Milano, un po’ spaesati, incontrano un ivoriano che li sente parlare, e capisce. Li rifocilla, telefona all’operatore della Pastorale Migranti.
Si fa sera, ma adesso, in sette, sono troppi anche per la casa dell’operatore: che fare? Questa volta si dorme in un locale della nuova sede della Pastorale. Le istituzioni si attivano solo il giorno successivo.
Alla fine, con il passare dei giorni, i gambiani che usciranno dal CIE di corso Brunelleschi saranno un bel gruppo di 16. Nove di loro oggi sono accolti dalle parrocchie di una cittadina dell’hinterland grazie all’impegno di un gruppo di volontari e con il supporto di una cooperativa, e sette in un CAS (centro di accoglienza straordinaria) in centro città.
Sotto la Mole senza un perché
Sono fuori perché nel CIE hanno potuto presentare domanda d’asilo grazie agli operatori della Pastorale Migranti e a un gruppo di avvocati, alcuni dei quali dell’ASGI. Ma è una storia strana, la loro, anche se non isolata nel nuovo “approccio” inaugurato tra fine estate e inizio autunno nei centri di prima accoglienza per migranti sulle coste siciliane, hotspot e non hotspot.
Una storia strana e ancora in parte da chiarire. Questi i fatti per ora accertati (o quasi accertati). I 16 gambiani sbarcano sull’isola il 16 settembre dopo essere partiti dalla Libia ed essere stati soccorsi in mare.
Vengono registrati e identificati con altri 18 compatrioti in un centro di accoglienza (probabilmente ad Augusta) che conta centinaia di ospiti. Parlano poco l’inglese, è vero, ma nessuno, a quanto pare, gli spiega che avrebbero il diritto di fare domanda di protezione.
Due giorni dopo, il 18 settembre, i 16 sono trasferiti in un aeroporto (probabilmente quello di Catania). Là viene notificato a ognuno un provvedimento di respingimento “differito”, cioè non notificato subito alla frontiera. L’aereo decolla, fa uno scalo intermedio.
Poi, quello stesso giorno, lo sbarco a Caselle. E a sera i 16 si ritrovano rinchiusi in corso Brunelleschi senza sapere perché. Per gli altri 18, fatta eccezione per due minori, c’è l’“accoglienza” nel CIE di Crotone. (segue nella news successiva)
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