Il cambiamento climatico è una realtà di fatto, riconosciuta (fin troppo tardi) da tutti i paesi del mondo. I rifugiati climatici, ovvero coloro che fuggono a causa del cambiamento climatico, invece non stanno conoscendo alcuna forma di riconoscimento internazionale. Urge cambiare l’ordine delle cose includendo i rifugiati climatici nella Convezione di Ginevra.
“The last 20” ha annoverato questa urgenza nel documento “dal basso” sul climate change. Il documento, redatto dei rappresentanti dei 20 Paesi più poveri al mondo, è stato consegnato ai big nella PreCop 26 di Milano in questo avvio di ottobre. Ma chi sono “The last 20”? Si tratta di una realtà emergente, dinamica e multietnica che si è costituita a febbraio di quest’anno e riunisce gli “L20”, cioè i venti Paesi più “impoveriti” del nostro pianeta, in base alle statistiche internazionali sui principali indicatori socio-economici e ambientali.
Durante questi mesi “The last 20” ha lavorato ininterrottamente per arrivare a un testo condiviso, che riportasse la voce viva di chi vive le ingiustizie e il divario crescente, soprattutto da un punto di vista dei diritti umani e dell’ambiente, fra paesi ricchi e paesi impoveriti. Molte delle raccomandazioni rivolte ai grandi della terra dalla piattaforma “The last 20” riguarda l’ambiente, il cambiamento climatico e di conseguenza chi deve abbandonare la propria terra per impossibilità di rimanervi e sopravvivere.
Le raccomandazioni di “The last 20” Includere con urgenza lo status di rifugiato climatico all’interno della Convenzione sui rifugiati del 1951 e nel Protocollo del 1957, per garantire ai migranti che fuggono dalle conseguenze del cambiamento climatico la medesima protezione legale garantita alle altre categorie di rifugiati. Inserire l’educazione ambientale in tutte le scuole, a partire da quelle elementari. Investire adeguate risorse finanziarie per sostenere misure di adattamento e mitigazione del clima, a partire dall’Africa. Nominare un comitato nazionale formato da esperti nazionali, attivisti, membri di organizzazioni e associazioni incaricati di affrontare la questione del cambiamento climatico a livello nazionale. Quali sono i 20 paesi rappresentati da “The last 20” Sono ben più di 20 ma simbolicamente sono stati scelti i seguenti: Afghanistan, Burkina Faso, Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Haiti, Libano, Liberia, Malawi, Mali, Mozambico, Niger, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Yemen. L’elemento che li accomuna è l’impoverimento derivato da sfruttamento coloniale, guerre e conflitti etnici e non ultimo le recenti e meno recenti catastrofi climatiche. |
Riconoscimento dello status di rifugiato climatico, nuove leggi, educazione ambientale in tutte le classi, partecipazione attiva, attenzione alle voci piccole (siano esse voci di bambini e bambine o di persone provenienti da paesi senza voce) sono i pilastri del documento redatto dai rappresentanti di “The last 20”.
“Crediamo che le popolazioni locali e i giovani dovrebbero essere i protagonisti della risposta a questa crisi. Inoltre, riteniamo che il ruolo dell’educazione sia cruciale per lo sviluppo dei giovani e per determinare il futuro di ogni paese. Tenendo a mente che siamo tutti sulla stessa barca, e avendo il giusto riguardo per le generazioni future, la piattaforma “The Last20″ propone una serie di raccomandazioni per includere e coinvolgere i più vulnerabili nella lotta al cambiamento climatico.”
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