Atai, rifugiato afghano. La sua storia, le sue parole
Sono Atai Walimohammad e vengo dall’Afghanistan. Vivo in Italia dal 2013 e dopo aver ottenuto la protezione come rifugiato, lavoro oggi come interprete e mediatore linguistico-culturale. Sono figlio di un medico, mio padre si chiamava Dott. Atta Mohammad e è stato ucciso dalla gente del mio villaggio. Ero così piccolo quando è accaduto che non l’ho mai conosciuto. Crescendo è nata in me la curiosità verso le foto ed i libri presenti in casa nostra e ho chiesto a mia madre “di chi sono queste foto ed i libri?”. Mia madre mi ha spiegato che le foto ed i libri appartenevano a mio padre, e mi ha raccontato la sua storia: mio padre consigliava alla gente del villaggio di non uccidersi per i vantaggi dei paesi stranieri e incitava tutti a mandare i figli e le figlie a scuola invece di farsi saltare in aria per andare in “paradiso”. Seguendo gli insegnamenti di mio padre il mio sogno era quello di poter studiore per poter diventare uno psicologo: di mattina quindi io frequentavo la scuola ed il pomeriggio andavo a fare i corsi di matematica, biologia, fisica, chimica e di scienza. La gente del villaggio parlava sempre male di me e cercava di ostacolarmi, ma nonostante tutto non mi sono arreso e ho continuato a frequentare la scuola. Nel 2011 i Talebani hanno aperto in una zona rurale, abbastanza lontano dal capoluogo, un centro di addestramento per i kamikaze, in cui veniva insegnato come farsi esplodere per Allah. Tutti i