Sono stati accolti in maggior parte da 16 Caritas diocesane, per iniziativa della CEI tramite la Caritas nazionale, i 162 rifugiati che poco prima di Natale sono arrivati in Italia grazie al primo corridoio umanitario organizzato dalla Libia anche in collaborazione col governo italiano. Ma il risultato e i numeri di questa iniziativa di solidarietà non possono non essere messi a confronto con quelli di un anno che ha visto gravi responsabilità dell’esecutivo Gentiloni: sono 20.300 i migranti intercettati dalla Guardia costiera libica sostenuta dall’Italia e forse 10-13 mila quelli che hanno ingrossato la folla dei prigionieri dei “centri di detenzione”.
È stata accolta in alcuni CAS gestiti da 16 Caritas diocesane la maggior parte dei 162 rifugiati sbarcati all’aeroporto di Pratica di Mare lo scorso 22 dicembre nel primo “corridoio umanitario” mai organizzato dalla Libia.
Il “corridoio”, che si è svolto con due voli militari da Tripoli, ha portato in Italia questo gruppo di rifugiati “vulnerabili”, fra cui 40 bambini, per iniziativa della Conferenza episcopale italiana (che si è avvalsa della Caritas nazionale) in collaborazione con l’UNHCR, con il governo italiano e il governo del presidente al-Sarraj. La parte sanitaria della prima accoglienza è stata curata dall’INMP (l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti di via San Gallicano, a Roma).
«Molte delle persone evacuate riportano grandi sofferenze, sono state tenute prigioniere dai trafficanti in condizioni disumane e detenute in Libia – ha chiarito Vincent Cochetel, inviato Speciale dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale -. Cinque delle donne che sono state evacuate hanno partorito durante il periodo di detenzione e hanno potuto beneficiare solo della limitata assistenza medica che siamo riusciti a fornire grazie ai nostri partner sul territorio, come gli IMC, gli International Medical Corps».
All’arrivo dei rifugiati, oltre al presidente della CEI Gualtiero Bassetti, era presente anche il ministro dell’Interno Marco Minniti, che ha detto fra l’altro: «Oggi l’Italia ha scritto una bellissima pagina di solidarietà e accoglienza e lo ha fatto mettendo in campo la sua forza-Paese e dimostrando che nelle situazioni difficili sa dare il meglio. Questo è solo l’inizio, continueremo a lavorare con l’UNHCR secondo il principio che abbiamo sempre sostenuto: combattere l’illegalità per costruire la legalità vera».
Fa senz’altro piacere che sia «solo l’inizio». Purtroppo, l’UNHCR e la Chiesa italiana hanno avuto la possibilità di organizzare questo primo “corridoio” a scartamento ridotto solo alla fine del 2017: l’anno del memorandum Roma-Tripoli del 2 febbraio, l’anno del supporto italiano alla Guardia costiera libica che ha intercettato e riportato indietro con metodi spicci 20.300 migranti (dato OIM, vedi nell’allegato), della delegittimazione dei salvataggi delle navi delle ONG e del conseguente crollo del numero di migranti soccorsi e sbarcati in Italia (119.300, -34% rispetto al 2016).
Ma pure l’anno in cui, anche per tutto questo, gli orrendi lager “governativi” della Libia per migranti “illegali” sono passati a rinchiudere da 4.000-7.000 persone (dati ONU di fine 2016) a 17 mila (dato OIM al novembre 2017).
Insomma, l’anno in cui la Libia, uno “Stato” in condizioni disastrose che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, ha impedito che migliaia di potenziali richiedenti asilo trovassero in Italia o nell’UE, nel compiacimento e con il sostegno dello stesso governo italiano (e, certo, nel sollievo degli altri Paesi membri dell’Unione), la protezione cui avevano sicuramente diritto.
Potremmo iniziare a calcolare il numero di questi esclusi a partire da due stime minime, molto minime: il 40% (cioè la percentuale degli esiti positivi che si ottiene nelle nostre Commissioni territoriali…) di buona parte dei 20.300 mila intercettati dalle motovedette di Tripoli, più il 40% dei 10-13 mila migranti che, nell’anno, hanno ingrossato la folla dei prigionieri dei lager.
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