Cambalache è un’associazione di promozione sociale di Alessandria e da qualche settimana sta facendo girare un documento che nel modo diretto, semplice, chiaro con cui è scritto pone degli interrogativi necessari, mette a nudo le contraddizioni, evidenzia i problemi che toccano l’universo dei rifugiati politici e dei richiedenti asilo. La riflessione di questi operatori è tutta “dal basso”, nasce dall’operare quotidiano e dai “muri” di burocrazia, ottusità, miopia sociale con i quali ogni giorno di scontrano.
Se manca il pathos…
La prima perplessità è sul lavoro delle Commissioni territoriali, in particolare quella di Torino che ha giudicato il destino delle persone seguite da Cambalache in questi mesi. “Di 25 persone ascoltate dalla Commissione, 21 hanno avuto risposta negativa. (…). Tra le motivazioni dei dinieghi: ‘i racconti non erano esposti con il richiesto pathos’ ‘il racconto manca di partecipazione vissuta’. (…) La domanda che molti si sono posti, apparentemente infantile ma vissuta con senso di grande ingiustizia, è stata “perché io no e lui si?”. Il documento racconta poi l’iter dei ricorsi e le motivazioni delle sentenze: il percorso ha un che di kafkiano.
Tanto lavoro per nulla
L’associazione racconta poi il proprio imbarazzo nell’essersi impegnata con queste 25 persone in percorsi di inserimento, nell’individuazione di abitazioni e lavori che portassero all’autonamia, nel vedere avviati positivamente diversi di questi percorsi, per poi vedere che la “mancanza di pathos narrativo” ha interrotto tutto, rendendo le persone “presenti irregolarmente”. Il senso di frustrazione che trapare dal documento è grande. Anche perchè il denaro pubblico utilizzato e stanziato per questi progetti di integrazione (in procinto di dare buoni risultati), viene dirottato per le spese di rimpatrio cosa che, a guardare bene, risulta un vero spreco: invece di avere un buon cittadino e un buon lavoratore, si crea un altro potenziale immigrato irregolare…
Roba da Mafia Capitale
Cambalache pone delle domande che coinvolgono l’intero sistema nazionale a partire dalla propria azione, locale e specifica, eppure queste domande hanno un grande effetto e una forza che forse va al di là delle intenzione della stessa associazione. Basti pensare pensare all’inchiesta su Mafia Capitale e sul Cara di Mineo che pone drammaticamente in primo piano le contraddizioni dell’intero sistema di accoglienza. Alla base di tutto ci sono però le vite di quanti sfuggono da guerre e persecuzioni e la domanda di uno dei protagonisti del film “Io sto con la sposa”, posta come epigrafe del documento: “Se il cielo è di tutti, perché non può esserlo anche la terra?”
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