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Budapest, Mondiali di atletica leggera 2023: ecco i nomi e i volti dell’Athlete Refugee Team

La rappresentanza dei rifugiati ai Campionati mondiali di atletica leggera iniziati oggi nella capitale ungherese è composta di sei atleti. Due, fra cui la già due volte olimpionica Anjelina Nadai Lohalith, sono originarie del Sud-Sudan, uno della Siria, uno del Marocco, uno dell’Etiopia. Ma partecipa anche l’eritreo Tachlowini Gabriyesos, ad oggi l’atleta rifugiato di maggior successo. Chissà che i sei dell’Athlete Refugee Team nei giorni di Budapest non riescano a dire qualcosa, con il loro coraggio e la loro determinazione, all’Ungheria di Viktor Orbán che nel 2022, profughi ucraini a parte, ha concesso asilo a 30 (trenta) rifugiati.

Bambina, correva nel campo profughi di Kakuma, in Kenya: l’atleta rifugiata sud-sudanese Anjelina Nadai Lohalith in gara (foto International Olympic Committee).

 

È la già due volte olimpionica Anjelina Nadai Lohalith a guidare la squadra dei rifugiati (Athlete Refugee Team, ART) ai Campionati mondiali di atletica iniziati oggi a Budapest. Ventottenne, Anjelina partecipa nella specialità dei 5.000 metri. E’ fuggita dal Sud Sudan quando di anni ne aveva nove. Ha iniziato a correre nel campo profughi di Kakuma, in Kenya, dimostrando un talento che le ha permesso di prendere parte già alla prima Squadra olimpica di rifugiati nel 2016. 

Fanno parte dell’ART a Budapest altri cinque atleti. Uno, Tachlowini Gabriyesos, eritreo 25enne (foto a fianco), anche lui già olimpionico a Tokyo nel ’21, è ad oggi l’atleta rifugiato di maggior successo. All’inizio di quello stesso anno, con un tempo di 2:10:55 alla maratona del Parco del lago di Hula, in Israele, era stato il primo atleta rifugiato a ottenere una qualificazione olimpica automatica. Poi, a Tokyo, nella stessa disciplina si è piazzato 16°.

Nella maratona gareggerà con lui a Budapest Omar Hassan (foto a sinistra), un esordiente. Classe 1990, è fuggito in Danimarca dalla nativa Etiopia nel 2014. Un altro debuttante nell’ART è il 29enne saltatore in lungo Moammad Amin Alsalami (foto a destra), originario di Aleppo, in Siria: vive in Germania dal 2015 ed è sbarcato a Budapest con un record stagionale di 7 metri e 81 centrimetri, e come primo atleta rifugiato a gareggiare in una disciplina tecnica ai Campionati mondiali.

Già oggi ai blocchi di partenza dei 3.000 metri a ostacoli (terza batteria) c’era il 35enne Fouad Idbafdil, marocchino (foto a destra). E’ alla sua seconda partecipazione ai Mondiali di atletica, ma nell’ART vanta in più, fra l’altro, la partecipazione ai Mondiali di cross country di questo 2023.

Completa la squadra Perina Lokure Natang. E’ stata costretta come Anjelina Nadai Lohalith a fuggire dal Sud-Sudan, ha vent’anni e ha già fatto parte del primo programma dell’Under 20 Refugee Team di World Athletics, la federazione internazionale dell’atletica leggera. Gareggia negli 800 metri. Per lei un’allenatrice d’eccezione, la campionessa mondiale 2007 degli 800 metri Janeth Jepkosgei.

Chissà che i sei dell’ART nei giorni di Budapest non riescano a dire qualcosa, con il loro coraggio e la loro determinazione, all’Ungheria di Viktor Orbán che nel 2022, certo profughi ucraini a parte, ha concesso asilo a 30 (trenta, dato Eurostat) rifugiati. E nel 2021, quando la guerra in Ucraina era ancora inimmaginabile, a 40.

Collegamento

Budapest 2023, il calendario delle gare

 

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