A fine aprile in Burundi un clima di forte tensione ha cominciato a profilarsi a causa dell’annuncio del presidente Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato, una decisione giudicata anticostituzionale dall’opposizione, ma comunque convalidata dalla commissione elettorale. Un Paese che ancora non è riuscito a riemarginare le ferite del recente passato si trova ad affrontare una nuova fuga di massa.
Su pressione della comunità internazionale il Capo dello Stato africano ha annunciato lo spostamento dal 26 maggio al 5 giugno delle due consultazioni elettorali, lasciando al 26 giugno il contestato voto presidenziale. Nonostante l’annuncio la situazione nella capitale Bujumbura è rimasta estremamente tesa e non sono mancati sporadici episodi di violenza.
Secondo l’UNHCR oltre 105.000 persone sono già fuggite dal paese per raggiungere la vicina Tanzania (70.187), il Rwanda (26.300) e la provincia del Sud Kivu (9.183) nella Repubblica Democratica del Congo.
In Tanzania, il numero dei nuovi arrivi è aumentato notevolmente nel corso delle ultime settimane. Le autorità locali responsabili dell’immigrazione riferiscono che decine di migliaia di burundesi vivono senza un ricovero a Kagunga – un piccolo villaggio al confine con la Tanzania – sulla riva del lago Tanganica.
Secondo Oxfam le condizioni sanitarie a Kagunga sono gravissime perché manca l’acqua potabile e un sistema di latrine. È per questo stato lanciato l’allarme colera che sembra aver già colpito 30 persone.
I rifugiati inoltre riferiscono che le autorità del Burundi hanno reso difficile la fuga dal paese. Secondo coloro che sono riusciti a raggiungere il Rwanda negli ultimi giorni, ci sono blocchi stradali e checkpoint dove la polizia o le milizie impediscono alle persone in fuga di continuare il loro viaggio verso il Rwanda.
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