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CAS: mancano i fondi. Chi ne paga le conseguenze?

102486-mdIn Italia vi sono più di 3.100 CAS (Centri di accoglienza straordinaria) gestiti da profit e no-profit che accolgono circa 130.000 persone. I pagamenti di queste strutture sono fermi da mesi rischiando di far fallire le piccole realtà che lavorano su fidi bancari e risorse limitate.

Non è una novità: i pagamenti per i servizi di accoglienza dei richiedenti asilo non sono mai stati puntualissimi ma la situazione che si è creata negli ultimi mesi è più allarmante del solito perché stiamo superando i sei mesi di attesa. E così i CAS si trovano a dover fronteggiare in maniera autonoma gli esborsi legati all’accoglienza: dal vitto e dalle spese di affitto e utenze, al pocket money e a tutti gli altri costi (salute, trasporti, integrazione, scuola, abbigliamento, documenti, ecc ecc).

Chi può permettersi di sostenere uscite continue di denaro senza una prospettiva concreta di rimborso? Non di certo le piccole realtà che lavorano sui piccoli numeri e tentano di realizzare un’accoglienza diffusa sul territorio. Infatti le piccole cooperative o le piccole associazioni non riescono a ottenere prestiti cospicui da parte delle banche e senza entrate fisse il rischio concreto è quello del fallimento.

Le conseguenze dei conti in rosso dello Stato (secondo le dichiarazioni di Angelino Alfano mancherebbero 600 milioni di euro) per questi CAS sono molteplici. Oltre a non poter offrire un’accoglienza dignitosa mancano i presupposti per favorire l’integrazione dei beneficiari. Infatti uno dei primi tagli riguarda sovente l’affitto degli appartamenti. In un piccolo comune questo significa inficiare il rapporto con la cittadinanza che stenterà sempre più a mettere a disposizione risorse e beni.

Per non parlare degli stipendi di chi lavora in questi progetti di accoglienza. Secondo il presidente di Confcooperative, Giuseppe Guerini, da oltre sei mesi i dipendenti non ricevono lo stipendio e si è al collasso delle strutture.

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