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Genocidio armeno: almeno il ricordo…

di Maria Lucia Di Stefano

A cento anni di distanza l’Università del Dialogo del Serming di Torino ricorda il primo sterminio di un gruppo etnico nella storia moderna: il genocidio armeno. Nell’Arsenale della Pace di Torino si è voluto ricordare l’eccidio invitando la saggista e professoressa italiana, Antonia Arslan, discendente diretta delle vittime del genocidio ed ora loro voce. Il genocidio armeno è stato rievocato seguendo la storia della sua famiglia, come nel suo romanzo ”La Masseria delle Allodole”, divenuto poi film diretto dai fratelli Taviani.

Antonia Arslan
Antonia Arslan

Tutto iniziò con i “Giovani Turchi”

La Arslan parte di fatti e dai massacri attribuiti ai “Giovani Turchi” saliti al potere nel 1908 e che perseguirono un programma nazionalista che prevedeva l’annientamento politico, storico e culturale della popolazione armena. Lo sterminio riguardò inizialmente gli uomini adulti e gli anziani. Le successive deportazioni dei sopravvissuti decimarono ciò che restava della popolazione armena. Le donne ed i bambini furono ridotti in schiavitù e costretti a subire sevizie ed abusi. Basta il numero delle vittime, circa un milione, per dare una dimensione di quanto accaduto: un genocidio che per troppi anni è stato avvolto dal silenzio e dall’omertà. Solo in questi ultimi anni si è tentato di riconoscere in ambito internazionale la reale portata di quanto sia avvenuto dopo quasi un secolo di continua negazione da parte del governo turco. La Turchia, infatti, nonostante abbia permesso la riapertura delle poche chiese armene rimaste, non ammette le proprie responsabilità e non riconosce il genocidio armeno, punendo con il carcere coloro che pubblicamente usano il termine “genocidio” affiancato alla parola “armeno”.

Segnali  di giustizia tardiva

Ma tra i giovani si è aperto uno spiraglio: come riferisce la Arslan, ci sono casi di giovani studenti turchi interessati ad approfondire la questione armena, chiaro sintomo di un cambiamento ideologico. Ad oggi, sono ancora pochi i Paesi che riconoscono quanto è accaduto nel sud-est della Turchia nel 1915: l’Unione Europea si limita a criticare duramente lo Stato turco; negli Stati Uniti – nonostante le promesse fatte in campagna elettorale dal Presidente Obama – c’è stato il solo riconoscimento da parte dei singoli Stati, circa 43. Le testimonianze fisiche e dirette di ciò che accadde realmente in quei giorni, sono gli scatti fotografici di un giovane tedesco, Armin T. Wegner, che si trovava in Turchia nel reparto sanitario di una divisione armata tedesca. Con i suoi scatti testimoniò inequivocabilmente i fatti e le responsabilità turche, prove che a oggi non possono essere ignorate nel riconoscimento ufficiale della tragedia. L’incontro si è concluso con l’invito della scrittrice a studiare la storia per riflettere sulla responsabilità dei popoli, riconoscendo nel mondo il bene e il male. Ufficializzare a livello internazionale il genocidio armeno significa compiere un atto di giustizia verso la memoria storica di una popolazione, un atto fatto a favore della verità che è stata per troppi anni negata e nascosta, un atto, infine, di scuse verso le vittime e un monito per le generazioni future affinchè ciò che si è verificato in passato mai più si verifichi.

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