“Sono partito da Auchi con due amici, siamo scappati perché rischiavamo di morire”. Così inizia il racconto di A. S., 22 ANNI, quando gli chiediamo di parlarci della sua vita in NIGERIA e dei motivi che l’hanno spinto a partire…
“Avevamo tutti paura della situazione che c’era, degli attentati di Boko Haram e di quello che ci poteva succedere”. Ma quello che lo aspetta durante il suo viaggio non sarà meno rischioso. Quando arriva in Libia infatti A. non riesce neanche a provare cosa sia la tranquillità e la libertà: “Eravamo arrivati da pochi giorni in Libia e subito ci hanno arrestati solo per il fatto di essere nigeriani”. A. viene subito a contatto con il razzismo delle forze dell’ordine libiche e con la violenza dovuta unicamente al colore della pelle e alla provenienza. “Là sono rimasto cinque mesi in carcere prima di riuscire a fuggire, non ce l’avrei fatta a sopravvivere, mangiavamo pochissimo ed eravamo in 11 in una cella, litigavamo continuamente e le guardie si divertivano a vederci litigare”.
Una vita da clandestino
Evadere era l’unica via d’uscita da quella situazione invivibile: “Le condizioni igieniche erano terribili, non c’erano letti e le malattie erano diffusissime. La gente non si lavava perché era pericoloso persino farsi la doccia”. Dopo la fuga A. riesce a trovare lavoro a Tripoli e per tre mesi vive clandestinamente. Grazie al suo lavoro può mettere da parte i soldi per il viaggio verso l’Europa. Da questo momento in poi le cose non saranno così semplici per lui: “Durante il viaggio in barca ho visto persone morire accanto a me, e ho visto gettare i loro corpi in mare”.
“Ma chi guidava quella barca?”
Deve la sua sopravvivenza alla forza di non arrendersi, di non perdere la speranza nonostante le difficoltà di quella traversata: “Mi bagnavo il viso e il corpo con la poca acqua che riuscivo a trovare e che mi ha permesso di sopravvivere. Non ho mai visto il volto di chi guidava quella barca, eravamo in tanti lì dentro, tutti attaccati e stipati sottocoperta lungo lo scafo della nave. Se avessi saputo quello che ci aspettava non sarei neanche partito”.
Arrivato a Torino, A. è stato accolto nei servizi SPRAR presenti sul territorio e ora vive con alcuni connazionali in un appartamento nella zona Nord della città.
Testimonianza raccolta dalla redazione di Vie di fuga, 2015
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