Si conclude (provvisoriamente) il dossier di Vie di fuga dedicato ai due Compact ONU sulla migrazione e per i rifugiati. Il Compact rifugiati e la Convenzione di Ginevra. Il suo rapporto con i principi-guida dell’asilo e con il Compact migrazione. E le chance di un “patto” non vincolante: perché per gli esperti la vera sfida dei due Compact, una volta adottati, starà negli impegni concreti che i singoli Stati si assumeranno. Mentre le ONG avvertono da tempo: i due accordi devono «evidenziare meglio che la cooperazione internazionale non può essere utilizzata in modo strumentale per rispondere a esigenze di sicurezza e controllo delle frontiere dei Paesi di destinazione».
Negli ultimi mesi l’assistente all’alto commissario ONU per i rifugiati Volker Türk, a nome dell’UNHCR, ha preso posizione su alcuni nodi critici del processo di elaborazione che sta portando al Global compact sui rifugiati. Ad esempio, si è espresso sul rapporto di questo “Patto” con la Convenzione del ’51 sui rifugiati: perché “c’è bisogno” di un Compact? Forse Ginevra… è superata? «La Convenzione sui rifugiati si concentra sui diritti dei rifugiati e sugli obblighi degli Stati – ha risposto l’esperto di protezione dell’UNHCR -, ma non si occupa esplicitamente di cooperazione internazionale, tema che il Global compact si propone di affrontare».
Quei principi “dimenticati”
La “bozza 2” del compact di fine aprile ha introdotto due paragrafi sui “Principi guida”. Ma nei mesi scorsi è emersa la preoccupazione per il fatto che il progetto di documento in pratica sorvola sui principi-chiave della protezione internazionale, fra cui quello del non respingimento. Perché questa “dimenticanza”? Ancora Türk: «Qui non si tratta di riaffermare la Convenzione del 1951 né ogni singolo principio o standard, perché questi standard li abbiamo già. Stiamo costruendo su solide fondamenta di diritto internazionale, su standard e pratiche internazionali acquisiti. Vogliamo andare oltre ciò che già esiste e affrontare una lacuna molto specifica: la necessità di definire meglio la cooperazione internazionale per condividere le responsabilità».
Se in Bangladesh o in Uganda…: gli scenari “da Global compact” secondo l’UNHCR
«Prima di tutto, quando un Paese è colpito da un flusso su larga scala, come il Bangladesh o l’Uganda con l’ultimo flusso di rifugiati congolesi, abbiamo bisogno di conoscere rapidamente i bisogni della popolazione e l’impatto sul Paese di accoglienza. Poi dobbiamo esporre alla comunità internazionale le esigenze in termini di sostegno finanziario, assistenza umanitaria e cooperazione allo sviluppo. Abbiamo bisogno di vedere, infatti, se alcuni Paesi si fanno avanti e dicono: “Sì, noi abbiamo intenzione di impegnarci con un finanziamento”, oppure: “Noi vogliamo aiutare sul fronte dell’istruzione”, “forniremo aiuto con competenze tecniche attraverso accordi stand-by per garantire che le foreste non vadano perdute per via dell’enorme concentrazione di persone in una certa area” (cosa che oggi sta accadendo in Bangladesh), e “sì, aumenteremo il reinsediamento”… Quello che ci proponiamo, insomma, è di stimolare un sostegno tempestivo: sostegno politico, finanziario e in termini di resettlement, in modo che i Paesi che si trovano ad affrontare queste situazioni percepiscano di non essere lasciati a se stessi, perché la comunità internazionale se ne prende cura, in solidarietà» (Volker Türk, fonte UNHCR, traduzione a cura di Vie di fuga). |
Patto sì, ma non vincolante
Altro nodo: anche la “bozza 2” ribadisce che il Compact non sarà «legalmente vincolante» (legally binding) per gli Stati. Con questa premessa come potrà fare davvero “la differenza”, cioè avere, come ci si attende e si dichiara, «un impatto positivo su milioni di persone»? Risposta: anche se non vincolante, l’Accordo sarà pur sempre «un segnale molto forte, perché sarà adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite come uno strumento per l’impegno a favore dei rifugiati».
Infine c’è la questione non del tutto pacifica e unanime della scelta, in ambito ONU, di elaborare due Compact distinti (rifugiati e migrazioni). Per Volker Türk i due Accordi «devono essere coerenti l’uno con l’altro, ma perseguono anche obiettivi diversi. Non abbiamo, ad oggi, un quadro giuridico chiaro e solido in materia di migrazione. Mentre nel settore dell’asilo abbiamo già una base giuridica consolidata, e fondamenti politici e operativi. Quindi sul fronte dei rifugiati ci siamo mossi, su queste basi, per affrontare aspetti particolari che richiedono davvero una cooperazione internazionale. Sulla migrazione, invece, in sostanza si è iniziato “da zero”».
Fra due settimane, il 12 e 13 giugno, si terrà a Ginevra la quinta sessione di consultazioni formali, la penultima, sul Compact rifugiati. L’ultima è in agenda per il 3 e 4 luglio.
Gli esperti: “La vera sfida? Gli impegni concreti degli Stati” «Alcuni osservatori hanno criticato la scelta di separare i due temi (migrazione e rifugiati), dando fin troppa enfasi al tema della protezione internazionale. Come sottolineato da Jorgen Carling, ricercatore del Peace Research Institute di Oslo, sarebbe stato più coerente affrontare il tema “rifugiati” all’interno del Global compact sulla migrazione, considerandolo come una delle molteplici tipologie di migrazione. Inoltre, come per tutti gli accordi internazionali, la vera sfida sarà quella di passare dalle dichiarazioni di principio agli impegni concreti e alle responsabilità dei singoli Stati… C’è da chiedersi [infine] se l’Unione europea saprà ricompattarsi, o se invece farà prevalere gli interessi contrapposti dei singoli Paesi, specie su un tema così delicato per le opinioni pubbliche nazionali» (E. Di Pasquale, A. Stuppini e C. Tronchin su Lavoce.info). |
Le ONG: “Non chiamatela cooperazione” «Concord intende portare all’attenzione dei governi negoziatori alcuni esiti del discutibile percorso di esternalizzazione delle politiche migratorie e di asilo messo in atto a livello europeo – e italiano – dal 2015 in avanti». Così la branca italiana del network europeo delle ONG di cooperazione e sviluppo è entrata nel dibattito sui due compact ONU. Secondo Concord Italia, i due accordi devono «evidenziare meglio che la cooperazione internazionale non può essere utilizzata in modo strumentale per rispondere a esigenze di sicurezza e controllo delle frontiere dei Paesi di destinazione». Ancora, «la cooperazione con autorità responsabili del controllo delle frontiere in Paesi terzi auspicata dal Global compact sulla migrazione non deve mai avvenire in casi in cui non sia garantita la tutela dei diritti umani (vedi Libia, ndr). «La cooperazione allo sviluppo non deve cioè mai essere utilizzata dai Paesi di destinazione per delegare ad altri Paesi il compito di intercettare i migranti prima che raggiungano il loro suolo, aggirando così di fatto i loro obblighi di offrire asilo». E sempre in tema di protezione, «il Global compact sui rifugiati deve prendere le distanze da sistemi di esame extraterritoriale delle richieste di asilo – in cui la richiesta di asilo venga esaminata cioè già nei paesi di origine o di transito». |
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