Il sale della terra – Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado (regia) – Documentario – 110′ – Decia films, Amazonas Images, Solares Fondazione delle arti – Brasile, Francia, Italia 2014
Oggi non li vediamo così. Rischiano di morire annegati o di freddo, continuano a fuggire in massa da Paesi dove la vita è impossibile e a stiparsi in campi mostruosi lontani dall’Europa. Ma non sono, non sembrano più i profughi e i rifugiati che Sebastião Salgado ha incontrato e ritratto nei suoi reportage degli scorsi decenni: spesso uomini, donne, bambini ridotti a scheletri vivi, lasciati a lottare da soli contro la strada, la fame e la sete dopo essere stati scacciati dalla siccità e dalla guerra in Sahel, in Eritrea e in Etiopia a partire dagli anni ’80, oppure risucchiati negli esodi seguiti alle carneficine dei Grandi Laghi nei ’90, fra l’impotenza e l’incapacità di quella che continuiamo a chiamare “comunità internazionale”.
Questi rifugiati e profughi ce li eravamo dimenticati. Ma ce li rimette sotto gli occhi questo documentario sulla vita e le opere del grande fotografo brasiliano nato nel 1944, perché i registi, Wenders e uno dei due figli dello stesso Salgado, ripropongono fra l’altro molte delle sue istantanee africane. Immagini “perfette” e solenni, che senza limitarsi alla denuncia si sforzano sempre di riaffermare, nonostante tutto, la dignità di corpi e persone.
E scatto dopo scatto (anche se questo film potente e suggestivo è tutt’altro che una monografia sullo sradicamento forzato nell’Africa subsahariana!) ti si annida nella mente, ostinata, una domanda che ha poco a che fare con la critica cinematografica: quegli esodi senza meta nella polvere, quelle famiglie isolate di profughi ridotti così allo stremo sono ancora possibili nel mondo di oggi, nel pianeta iper-connesso e pullulante di organismi specializzati in emergenza? Anche perché quegli esodi “lontani” non li ha prodotti un arcaico medioevo, ma la nostra Storia di non più di trent’anni fa.
Usciti di sala, la domanda ci è rimasta. E l’abbiamo girata a operatori che hanno lavorato nei campi per rifugiati d’Africa o conoscono un poco quel continente. Ci hanno risposto che catastrofi umanitarie a quei livelli di orrore oggi sono forse meno probabili. Ma molto dipende ancora da dove si verificano le crisi che le scatenano, e quindi dalla maggiore o minore disponibilità di cibo e acqua, dal clima, dalle possibilità di accedere a quelle regioni con convogli o carichi di aiuti. Senza contare che oggi come oggi il World Food Programme delle Nazioni Unite conta almeno cinque “hunger emergencies” fra Africa e Medio Oriente: la Repubblica Centrafricana dopo l’ondata di violenze esplosa nel 2013, la popolazione malata di Ebola in Guinea, Liberia e Sierra Leone, il Sud Sudan, ma anche i milioni di sfollati interni in Iraq e, ormai, anche in Siria. E c’è ancora da aggiungere lo stillicidio continuo dei gruppi di migranti e profughi che attraversano le pericolose rotte del Sahara, l’endemica insicurezza alimentare nel caos di Darfur e Somalia…
Insomma, qui nella sezione “Libri, film & C.” di Vie di fuga siamo proprio andati fuori tema. Ma quelli di Sebastião Salgado, purtroppo, non sono ancora materiali d’archivio per la (peggior) Storia dell’umanità.
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