Il villaggio di cartone – di Ermanno Olmi – Drammatico – Italia 2011 – 87′
Una chiesa, un parroco, un’impresa di traslochi. La chiesa non serve più a nessuno e viene svuotata di tutti gli arredi sacri, compreso il grande crocifisso sopra l’altare. Restano solo le panche in uno spazio vuoto e svuotato. Il vecchio prete sembra non sapersi rassegnare a questa sorte mentre il sacrestano ne prende atto. Ma, di lì a poco, un folto gruppo di clandestini africani in cerca di rifugio entra nella chiesa e, con panche e cartoni, vi installa un piccolo villaggio. Il sacerdote vede la sua chiesa riprendere vita ma non più come la chiesa delle cerimonie liturgiche, degli altari dorati bensì come la Casa di Dio dove trovano rifugio e conforto i miseri ei derelitti. Dall’esterno gli uomini della Legge non accettano la situazione e si fanno minacciosi su persone e destini.
Tutta la realtà narrata ne Il villaggio di cartone sembra inizi e finisca nei confini di una chiesa vuota dove lo sguardo dello spettatore non può trovare apertura semplicemente perché non esiste null’altro. C’è un doloroso presente incarnato dal prete, ormai alla fine della sua missione, ancora divorato dai dubbi sulla fede e sul senso dell’amore terreno. Gli unici sopravissuti in questa realtà spoglia e nuda sembrano essere pochi migranti africani, clandestini, disperati, in fuga che improvvisamente fanno capolino nella chiesa vuota, riconferendogli un significato umano.
Il villaggio di cartone è un nuovo capitolo, dopo il film Centochiodi, sul rapporto personale di Ermanno Olmi con il cattolicesimo. La sua riflessione si chiude con la presa di coscienza di una fine, di una ricerca rimasta irrisolta, di un’umanità priva (e privata) di sbocchi e prospettive. Gli ultimi spiragli di solidarietà sono da parte di un prete che non si rassegna alla perdita della sua chiesa decisa da altri e che è ormai convinto che “il bene sia più importante anche della fede stessa”.
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