Dal 29 aprile 2012 un ingente numero di persone sta fuggendo dal Kivu (Repubblica Democratica del Congo) per tentare di raggiungere il Ruanda. L’ennesima crisi umanitaria è scoppiata nella regione più tormentata del Paese senza lasciare traccia sui media.
Kivu è il nome di un vastissimo territorio della Repubblica Democratica del Congo che forma le due province Nord Kivu e Sud Kivu. Le province appaiono come una distesa di colline verdi e fiorite che si perdono a vista d’occhio e si riflettono in una serie di grandi laghi dalle acque cristalline. E’ una delle zone più belle dell’Africa, all’estremo nord est del Congo, ai confini col Ruanda.
Dal 1998 è diventata una terra insanguinata. Il Kivu è una terra che possiede un sottosuolo ricchissimo di minerali rari e preziosi e per questo è diventata la preda più ambita di tutto il Congo. Il sottosuolo è ricco di diamanti, oro, zinco e soprattutto di coltan da cui si estrae il tantallio. Questo minerale, che si ricava da una roccia friabile e relativamente superficiale, è alla base di molti prodotti della moderna tecnologia, dai telefonini ai computer, alle testate nucleari. Nel Kivu ogni anno se ne estrae una quantità pari all’80% di tutta la produzione mondiale.
La seconda guerra del Congo (1998-2003), nota anche come la Guerra Mondiale Africana, aveva avuto come epicentro il Nord Kivu. Nonostante la speranza che il conflitto si fosse interamente risolto con la creazione di un governo di transizione, nel 2004, il capo delle forze ribelli del CNDP (congresso nazionale per la difesa del popolo) Laurent Nkunda, che si contrapponeva, insieme alle milizie Tutsi, all’esercito regolare della Repubblica Democratica del Congo, ha invaso la città di Bukavu (Sud Kivu) e le più importanti zone minerarie del paese.
Questi conflitti si inseriscono in un contesto che va ben oltre le sole rivalità tribali e che pone le sue radici nelle politiche coloniali dei paesi europei, attratti dalle grandi risorse del Congo: il legname prima, l’oro poi e infine il coltan. Fin dagli anni ’60 i dissidi tra Tutsi e Hutu che ebbero luogo in Congo, in Ruanda ma anche nei paesi con essi confinanti, sono stati fomentati dalle decisioni governative locali imposte dall’Europa a scopo di lucro. Queste zone furono teatro delle più sanguinose e drammatiche pagine di storia dell’umanità, come il genocidio dei Tutsi del 1994, e continuano ad esserlo tutt’oggi, come testimoniato le periodiche riaccensioni dei conflitti.
Tutt’oggi permane una situazione di grave instabilità su tutto il Kivu con focolai di guerriglia mai del tutto estinti e che ciclicamente si risvegliano facendo ripiombare il paese nel caos e nella violenza, come succede ormai ogni anno dal 2008. La rivalità tra tribù costituisce un motivo accessorio di dissidio, fomentato dai paesi sviluppati che forniscono ogni genere di armi. Intanto, approfittando della debolezza del Congo e dello scarso controllo del governo centrale (la capitale Kinshasa è a oltre 2000 km di distanza) le multinazionali sono all’opera per l’estrazione di minerali.
Le cifre che possono aiutare a comprendere l’entità dei danni di questo conflitto sono impressionanti. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare per sempre il Kivu e rifugiarsi nei campi profughi allestiti in Tanzania e in Mozambico oppure in Ruanda o in Burundi. Nella stessa regione del Nord Kivu vivono dal 2008 quasi 70.000 sfollati interni che sono ospitati nel campo Unhcr Magumga III.
Una delle armi più utilizzata nel conflitto è lo stupro da parte dei soldati delle donne dei villaggi. Nel villaggio di Buganga, Sud Kivu, su una popolazione di 578 più di 200 donne sono vittima di violenza sessuale.
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