Vie di fuga ha intervistato Donatella D’Anna, direttrice della Fondazione Migrantes di Caltanisetta che ha partecipato alla missione di Mediterranea Saving Humans insieme a Padre Sandro, direttore della Fondazione Migrantes di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola.
Come sei stata coinvolta in questa missione?
Sono stata coinvolta da Padre Sandro nell’ambito di una visita amichevole. Mi ha spiegato il progetto e mi ha proposto di aggiungermi al team in quanto era importante prestare i nostri occhi alla Chiesa. Dopo le prime titubanze legate alla famiglia ho accettato con gioia. Per me è stato come un dono.
Come hai vissuto questa esperienza?
Per me non era una novità stare accanto a migranti che vivono l’esperienza dell’attraversamento del mar Mediterraneo; lavoro in questo ambito da anni e ho sentito molto parlare dei loro viaggi, delle loro lotte per arrivare in Italia ma un conto è sentirne parlare e un conto è viverlo in prima persona.
Proprio su questa differenza fra il sentire e il vivere mi sono resa conto che ci sono cose che non ho mai considerato importanti e che invece lo sono. Innanzitutto il ruolo del soccorritore, come si relaziona alle persone, come mantiene la calma, come diventi la figura di rinascita dei migranti. Il momento in cui il soccorritore tira a bordo il migrante è un momento molto intenso, direi mistico. Nelle poche parole di ringraziamento che sempre si ripetono si racchiude il senso di un dramma e di una seconda possibilità. Tutto è catalizzato in quel momento in cui i migranti dopo tante sofferenze si sentono salvati e accolti.
Un’altra immagine che serbo nella mia mente e nel mio cuore è quella delle barche vuote che si incontrano lungo la via. Ti chiedi dove siano le persone che vi erano state imbarcate, se siano annegate o se siano state salvate. Sono immagini a cui non siamo abituati.
Quali sono le tue riflessioni a seguito dei tre giorni in mare?
Noi siamo rientrati contenti e soddisfatti ma al contempo amareggiati perché siamo ben consapevoli di tutte le contraddizioni che continuano a sussistere nel campo dei salvataggi in mare. Pochi giorni dopo il nostro rientro la Mare Jonio è stata diffidata dal soccorrere persone e la notizia ha confermato il fatto che viviamo in una società piena di contraddizioni. Che senso ha questo accanimento verso le ONG da parte del nostro governo se la Guardia Costiera Italiana è intervenuta nei salvataggi? Noi abbiamo operato nella più completa legalità, chiedendo i permessi e ottenendo l’intervento delle nostre autorità; ciò non significa che è possibile collaborare proficuamente nel rispetto dei diritti umani?
Guardando le cose a più ampio raggio ho visto che noi stiamo spendendo soldi e risorse nei salvataggi (le ONG) e nei respingimenti (il Governo) e non stiamo investendo nulla o quasi nulla nella possibilità di creare canali di ingresso sicuri. È come continuare a curare un paziente con gli antidoloriferi e non indagare mai sulle cause della sua malattia. La mia stessa esperienza mi dice che se le persone avessero avuto la possibilità di accedere a un sistema di ingressi efficace non si sarebbero mai rivolti a trafficanti e noi non avremmo dovuto affrontare la questione dei soccorsi in mare con tutte le ripercussioni economiche, legali e umane che comporta.
Per fortuna c’è Papa Francesco che ci ha permesso di partire con la sua benedizione e ha continuato a sostenerci con le sue dichiarazioni. Noi abbiamo prestato i nostri occhi alla Chiesa per far vedere a tutti ciò che accade in mare e mostrare che la Chiesa non si sta tirando indietro ma è disposta a “sporcarsi le mani”.
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