di Marco Anselmi
L’attacco a Charlie Hebdo ha posto in maniera drammatica al centro dell’attenzione il tema della libertà di espressione e dei diritti inviolabili. E questo è un fatto importante. Ma le violazioni di tali diritti sono purtroppo una realtà assai più diffusa e quotidiana nel mondo. Per questo forse è bene ricordarsi anche di Raif Badawi.
Raif Badawi è un blogger saudita condannato a dieci anni di carcere e a cinque mesi di frustate (cinquanta frustate ogni settimana per venti settimane) per aver creato un forum online in cui era possibile discutere di religione, cosa considerata un reato in Arabia Saudita e un’offesa all’Islam. Come i vignettisti di Charlie Hebdo, Badawi sta pagando per la sua volontà di non tacere e di raccontare e proprio per questo lo scorso 9 gennaio ha ricevuto le sue prime cinquanta frustate. La pena è stata somministrata in pubblico a Gedda dopo la preghiera del venerdì, all’esterno della moschea di al-Jafali. Le restanti frustate saranno eseguite nella stessa maniera e nello stesso luogo nei prossimi mesi.
Tali notizie ci arrivano grazie al lavoro di Amnesty International che segue il caso del blogger dal giorno del suo arresto, il 17 giugno 2012. Da quel giorno Badawi è infatti detenuto nel carcere di Gedda per essere l’amministratore del sito web “Liberali dell’Arabia Saudita” per aver violato le leggi sulle comunicazioni elettroniche e aver offeso l’Islam. Il 30 luglio 2013 Badawi viene condannato in primo grado a sette anni di carcere e a seicento frustate. Tale giudizio è stato considerato troppo poco esemplare e per questo lo scorso 7 maggio 2014 in appello le frustate si sono tramutate da seicento a mille e gli anni di carcere sono stati aumentati a dieci. Pare una sentenza disumana, ma bisogna invece dire che a Raif non è andata male: in Arabia Saudita con l’accusa di apostasia si rischia anche la pena capitale.
Universali, cioè di tutti…
Il caso di Raif Badawi, che Amnesty definisce un “prigioniero di coscienza”, è però poco visibile nelle notizie dei principali media mondiali e completamente assente dalle agende politiche dei principali capi dei governi di tutto il Mondo, gli stessi che hanno marciato a Parigi per il diritto alla libertà di espressione di ogni individuo e che in questi giorni si sono detti vicini alla Francia e ai famigliari delle vittime dell’attentato del 7 gennaio. Tra questi anche alcuni esponenti del Governo saudita che hanno fortemente condannato l’episodio, rivendicando addirittura il diritto sacro della libertà di opinione. Difficile non pensare che la distrazione del mondo occidentale verso vicende come queta non sia dovuto al peso che hanno contratti petroliferi e alleanze strategiche in quella zona del mondo, ma non è il caso di perdersi in dietrologie complottiste. Restiamo ai fatti e ricordiamo che la Dichiarazione Universale per i Diritti dell’Uomo, che stabilisce che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione”, almeno per i Paesi firmatari, deve essere considerata valida dappertutto. A Parigi come a Riyad.
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