I concetti-parametro in base ai quali lo status di rifugiato è concesso o rifiutato sono privi di una definizione giuridica univoca tanto in sede internazionale quanto nella legislazione italiana. Nessuno strumento giuridico internazionale contiene infatti una definizione di “asilo politico o territoriale”, di “persecuzione individuale” o di “rifugiato”. Ma almeno il fondato timore è individuato e analizzato.
Per quello che riguarda il fondato timore di persecuzione è la Convenzione di Ginevra del 1951 a individuare e a stabilire cinque motivi sui quali esso può fondarsi: la razza, la religione, la nazionalità, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale e, infine, le proprie opinioni politiche.[2] Lo strumento per indirizzare gli Stati firmatari all’interno di questo elenco è stato realizzato nel 1979 (per essere poi periodicamente aggiornato) dall’Unhcr e si tratta di un manuale contenente delle semplici linee guida.[3] Ad approfondimento si riportano i punti principali di ognuno dei cinque motivi su cui si poggia il fondato timore di persecuzione e che sono alla base della possibilità di riconoscere lo status di rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra.
a. Razza La razza costituisce il primo motivo di persecuzione previsto dalla Convenzione, sebbene i redattori non abbiano definito in modo specifico il termine razza, risulta evidente la volontà di assicurare la protezione a chi rischia di subire persecuzioni per motivi analoghi a quelli in nome dei quali erano state perseguitate milioni di persone durante il periodo nazista. Il termine razza, oggi ritenuto scientificamente inutilizzabile e rispetto al quale si è modificata anche la sensibilità diffusa delle persone, nel contesto attuale non può che essere interpretato nel più ampio senso possibile, in modo tale da comprendere tutti i tipi di gruppi etnici e tutti i membri di specifici gruppi sociali appartenenti ad una minoranza, ai quali spesso ci si riferisce utilizzando il termine razza.
b. Religione L’Handbook dell’Unhcr afferma che la persecuzione per motivi religiosi può assumere diverse forme: proibizione di appartenere ad una determinata comunità religiosa; proibizione di professare in pubblico o in privato il proprio credo; proibizione di impartire una religione; imposizione di gravi misure discriminatorie nei confronti di determinate persone a causa del loro credo o della loro appartenenza ad una specifica comunità religiosa.
c. Nazionalità Come per la nozione di razza i redattori della Convenzione di Ginevra non danno uno specifica definizione del concetto di nazionalità. L’Handbook dell’Unhcr chiarisce che il termine nazionalità non deve essere inteso solamente come cittadinanza, ma che si riferisce anche all’appartenenza ad un gruppo etnico o linguistico e può occasionalmente sovrapporsi con il concetto di razza. La dottrina ha rilevato inoltre che adottando un’ottica realmente estensiva del concetto di nazionalità devono essere comprese all’interno di questa categoria anche le persone prive di nazionalità, queste persone infatti possono essere vittime di una violazione dei diritti umani proprio a causa della loro condizione di apolidia. Il concetto di nazionalità deve inoltre includere quelle persone che denunciano di correre il rischio di una persecuzione perché è loro negata la piena cittadinanza nel proprio Paese e questo li espone al rischio di subire abusi. La persecuzione a causa della nazionalità può infine sorgere nel contesto di uno Stato composto da territori precedentemente sovrani all’interno del quale sono perpetrate violazioni dei diritti umani contro chi definisce la propria nazionalità in termini di fedeltà al precedente Stato di appartenenza.
d. Appartenenza ad un determinato gruppo sociale Il significato di appartenenza ad un determinato gruppo sociale è stato chiarito dalle Linee Guida dell’Unhcr del 2002, le quali affermano che un particolare gruppo sociale è un gruppo di persone che condividono una caratteristica in comune o che sono percepiti come un gruppo dalla società. La caratteristica molto spesso è innata, immutabile, o in ogni caso è fondamentale all’identità, alla coscienza o all’esercizio dei diritti umani di ciascun individuo appartenente a tale gruppo. Appare chiaro quindi che il sesso rientra nella categoria dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, e le donne rappresentano un evidente esempio di un insieme sociale definito da innate e immutabili caratteristiche.
e. Opinioni politiche La Convenzione del 1951 facendo riferimento alle opinioni politiche, piuttosto che alle attività politiche, ha voluto lasciare aperta la possibilità di dare un’interpretazione il più ampia possibile a questa ragione per il riconoscimento dello status di rifugiato. L’Handbook dell’Unhcr chiarisce inoltre che un richiedente asilo può avere un fondato timore di persecuzione per motivi attinenti alle sue opinioni politiche, anche se le autorità del suo paese di origine non erano a conoscenza delle sue idee prima della fuga, egli infatti avrebbe potuto nasconderle e per questo non aver mai subito discriminazioni o persecuzioni. In ogni caso, il solo fatto di rifiutare di avvalersi della protezione del proprio Paese o il rifiutarsi di voler ritornare possono rivelare il reale timore di subire persecuzioni. In queste circostanze la verifica del fondato timore di persecuzione dovrebbe essere basata su una valutazione delle conseguenze a cui sarebbe esposto il richiedente una volta ritornato nel Paese d’origine. Alle ambiguità, di natura squisitamente “tecnica”, sopra enunciate se ne deve aggiungere ancora una di carattere culturale: nel contesto dei processi di trasformazione accelerati a velocità travolgente che investono il sistema delle relazioni internazionali giuridiche, politiche ed economiche, il mercato mondiale e lo stesso equilibrio ambientale – quello che si suole chiamare “globalizzazione” – diventa assai difficile se non impossibile stabilire con precisione la valenza politica di una causa di fuga (la valenza su cui si decide la concessione o meno dell’asilo politico). In base a quali parametri, ad esempio si può stabilire che una fuga determinata da cause naturali (una carestia, un’inondazione, uno tsunami) è meno politica di una determinata da cause belliche ed eventi militari? Soprattutto quando è sempre più evidente che l’esposizione a catastrofi naturali dipende spesso in larga misura dalle scelte politiche di un paese.
NOTE
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