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Le giornate mondiali del migrante e del rifugiato

La giornata mondiale del rifugiato

Il 13 gennaio si celebrerà la 99ª giornata mondiale del migrante e del rifugiato. L’appuntamento segue a poca distanza la prima edizione della giornata mondiale del migrante, festeggiata il 18 dicembre. E il 20 giugno ricorrerà la giornata mondiale del rifugiato. Tante celebrazioni importanti che rischiano però di restare fini a se stesse in un mondo sempre più chiuso all’altro.  

Il 13 gennaio è diventata la giornata mondiale del migrante e del rifugiato nel 1914 per volontà di papa Benedetto XV, eletto al soglio pontificio poche settimane dopo lo scoppio della prima Guerra Mondiale. I motivi dietro alla scelta di istituire una tale giornata erano dettati dagli orrori delle guerra, dai profughi e dagli sfollati ma anche dal fenomeno dell’emigrazione italiana. 

Il 20 giugno è diventata giornata mondiale del rifugiato nel 2001 in seguito alla decisione dell’Assemblea Generale dell’Onu che, con una risoluzione adottata all’unanimità, ha deciso di dedicare una giornata mondiale ai rifugiati, per riaffermare i valori sui quali sono basati gli accordi internazionali in materia di protezione dei rifugiati. É stato scelto il 20 giugno perché coincidente con la data in cui si celebra la Giornata africana del rifugiato.

L’ultima in ordine di creazione è la giornata mondiale del migrante del 18 dicembre, festeggiata per la prima volta il dicembre scorso. La scelta delle data è legata al 18 dicembre 1990 quando l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

Nell’articolo 2 della suddetta Convenzione si legge “l’espressione ‘lavoratori migranti’ designa le persone che eserciteranno, esercitano o hanno esercitato una attività remunerata in uno stato cui loro non appartengono”. Nel preambolo si precisa che i lavoratori migranti possono essere provvisti o sprovvisti di documenti, e la distinzione viene ribadita altre volte, ma la terza parte sottolinea che i diritti umani devono essere garantiti per tutti, lavoratori in situazione “regolare” e “irregolare”. La convenzione è entrata in vigore solo il primo luglio 2003, dopo tredici anni, il tempo necessario affinché almeno venti paesi la ratificassero. Oggi siamo a 46; l’ultima ratifica è stata quella dell’Indonesia, il 31 maggio 2012. Nessun paese dell’Unione europea l’ha ratificata, gli Stati Uniti nemmeno. Neppure il Canada.

Oggi ci sentiamo tutti uniti nelle celebrazioni delle giornate mondiali del migrante e del rifugiato. E per “migrante” e “rifugiato” non s’intende colui che aspetta un atto di cortesia (e attenzione) da parte dei paesi latitanti di cui sopra, fra cui anche l’Italia, ma una creatura impalpabile che celebriamo, troppo spesso a loro insaputa e di conseguenza in loro assenza.

Fra i migranti celebrati alcuni sono ancora in viaggio ma molti sono giunti a destinazione, diventando così migrati. E lì hanno trovato non l’ospitalità, declamata come necessaria nelle giornate mondiali, ma indifferenza, sguardi che li attraversano come se non esistessero. E quando improvvisamente qualcuno li vede, ne parla, sono gli “immigrati”. O “i richiedenti asilo”, i “profughi”, i “migranti”. Dal 2008 la Carta di Roma esorta i giornalisti a non confondere questi termini e a non usarne di inappropriati, come l’inestirpabile “clandestino”. È un documento prezioso, com’è prezioso il lavoro legato alle giornate mondiali ma è necessario ricordare che la sostanza delle persone è altrove.

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