In giugno la Commissione Juncker e il Consiglio Europeo lavoreranno sul Migration compact presentato dal governo Renzi: cooperazione con i Paesi africani in cambio di “controllo” sulle migrazioni. Intanto qualcuno si chiede: ma che cosa andremo a finanziare in quel continente? Però vale la pena di ascoltare anche l’opinione di chi fa cooperazione (cooperazione vera) per mestiere, la FOCSIV.
Secondo il premier Renzi, in questi giorni il “migration Compact” presentato dal governo italiano all’Unione Europea ha incassato anche l’apprezzamento del G7 di Ishe-Shima.
Qualche giorno prima la proposta è stata incoraggiata dall’OIM: «Riteniamo che sia un primo passo nella giusta direzione, non l’unico, ma è un buon inizio», ha detto il direttore generale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni William Lacy Swing a margine del World Humanitarian Summit di Istanbul.
Il prossimo 7 giugno, visti i consensi che la proposta italiana di metà aprile ha trovato anche in alcuni governi europei (anche se non certo tutti) e nelle istituzioni dell’UE, la Commissione Juncker potrebbe approvare una bozza di “comunicazione” ad hoc da portare poi in Consiglio europeo a fine mese.
Cooperazione in cambio di controllo
Gli obiettivi e il metodo sarebbero quelli della proposta Renzi: cooperazione con i Paesi del Sahel e del Corno d’Africa in cambio di «impegni precisi in termini di efficace controllo delle frontiere, riduzione dei flussi di migranti, cooperazione in materia di rimpatri/riammissioni, rafforzamento del contrasto al traffico di esseri umani».
Il Migration compact italiano mette al centro, «in particolare», «un piano straordinario di rimpatri» e «supporto legale, logistico, finanziario e infrastrutturale per la gestione dei flussi nei Paesi partner anche attraverso uno screening accurato in loco tra rifugiati e migranti economici».
Il “modello” di riferimento sarebbe l’accordo UE-Turchia di marzo. Ma non ci sarebbe ancora consenso sulle modalità di finanziamento del programma: l’Italia, si sa, ha proposto le emissioni obbligazionarie di “Eurobond”, la Germania preferirebbe agire sulle tasse dei carburanti.
Migliora qualcosa rispetto all’Agenda…
Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università di Milano, ha commentato sull’osservatorio socio-economico La voce.info: «Malgrado l’esordio, il Migration compact assume una posizione meno rigida rispetto all’Agenda europea di un anno fa su un punto importante: l’apertura a nuovi ingressi legali in Europa anche per motivi di lavoro, in modo da offrire un’alternativa credibile agli arrivi illegali. Per il resto, tuttavia, i termini ricorrenti sono controllo dei confini, sicurezza, gestione dei flussi, rimpatri. Parole come diritti umani, protezione dei rifugiati sono pressoché assenti».
… ma che cosa finanzieremo laggiù?
La proposta italiana promette una gestione “decentrata” dell’asilo secondo standard internazionali, argomenta ancora Ambrosini, ma sorvola su una serie di questioni.
Prima di tutto, «come possono offrire una protezione umanitaria adeguata ai rifugiati stranieri Paesi che non riescono a offrirla ai propri cittadini? E se lo faranno, grazie ai finanziamenti dell’UE, come potranno controllare il risentimento di cittadini che riceveranno servizi assai più poveri di quelli forniti ai rifugiati? E come controlleranno i richiedenti asilo diniegati, che prevedibilmente cercheranno di sottrarsi alle espulsioni?»
Promesse, rimesse & sorprese
Sulla questione “sviluppo”, invece, i problemi sono due. Il primo è il rischio di finanziare i governi autoritari e corrotti. Così, afferma Ambrosini, «il dubbio è che si intenda finanziare la repressione delle migrazioni e del diritto di asilo, più che lo sviluppo: una repressione più facile da attuare lontano dalle telecamere europee, dal controllo delle organizzazioni umanitarie e dai sussulti di umanità delle opinioni pubbliche occidentali».
Il secondo problema sta invece in un’illusione, in un errore di prospettiva: «La persuasione che i migranti arrivino dai Paesi più poveri e che lo sviluppo possa fermarli».
La verità è un’altra, spiega il sociologo milanese: «Le migrazioni sono processi selettivi, partono coloro che dispongono di risorse. Con lo sviluppo aumentano le persone che trovano accesso al capitale economico, culturale e sociale necessario per partire. In una prima, non breve fase, lo sviluppo quindi fa crescere e non diminuire il numero dei migranti. Solo nel lungo periodo si riducono le nuove partenze».
Viva lo sviluppo, dunque, ma se si pretende che questo blocchi subito le migrazioni si rischiano “sorprese”. «Del resto – chiosa Ambrosini – nel mondo sanno bene che le rimesse degli emigranti forniscono aiuti ben più consistenti e tangibili delle promesse dei governi occidentali: le previsioni della Banca mondiale per il 2016 parlano di 610 miliardi di dollari inviati verso i Paesi in via di sviluppo. La rincorsa del Migration compact sarà ardua».
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