La siccità è tornata a colpire duramente l’Africa orientale e meridionale: a 10 anni dall’ultima carestia che ha fatto 260mila vittime in Somalia – di cui la metà bambini –, oggi quasi mezzo milione di persone è in carestia in alcune regioni di Somalia e Etiopia, mentre in Kenya 3,5 milioni soffrono la fame, fra cui moltissimi rifugiati.
La persistente siccità che da oltre un anno sta flagellando il Corno d’Africa è la peggiore degli ultimi 40 anni e non sembra intenzionata ad allentare la sua morsa. Ha letteralmente bruciato le riserve economiche, decimato il bestiame, riducendo drasticamente la disponibilità di cibo per milioni di persone. Eppure, la regione non ha praticamente responsabilità della crisi climatica, essendo responsabile collettivamente dello 0,1% delle emissioni globali di CO2.
In Kenya la situazione si sta aggravando di giorno in giorno, in particolare nelle zone semiaride del centro-nord e dell’est, dove gran parte della popolazione è in un’allarmante situazione di crisi alimentare. Un’emergenza nell’emergenza riguarda il gigantesco campo profughi di Dadaab che ospita oltre 230mila rifugiati, per lo più provenienti dalla vicina Somalia. Nelle ultime settimane l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha avvertito che le condizioni umanitarie si stanno deteriorando per il persistere dell’assenza di piogge e la diminuzione dei finanziamenti.
Secondo i dati riportati da Nigrizia sono più di 80mila i somali in fuga dal conflitto e dalla siccità devastante che sono arrivati nel campo di Dadaab negli ultimi due anni, più di 24mila (ma le cifre potrebbero essere ben peggiori) solo dallo scorso settembre, aggravando una situazione già difficile per le comunità locali e per chi già viveva nel campo. La scarsità di acqua favorisce il diffondersi di malattie, soprattutto morbillo e colera e sarebbero centinaia le persone contagiate.
L’Organizzazione umanitaria Save The Children – che lavora nell’immenso campo a Dadaab dal 2006, gestendo programmi di protezione dell’infanzia e di istruzione – chiede alla comunità internazionale e ai donatori di mettere a disposizione fondi per le famiglie vulnerabili, per l’assistenza ai minori non accompagnati, per la creazione di spazi a misura di bambino e per la gestione dei casi all’interno dei campi profughi e tra le comunità che affrontano la fame grave, legata indissolubilmente alla siccità e al cambiamento climatico.
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