Un rapporto denuncia la situazione dei richiedenti asilo che incappano nelle “trappole” giuridiche all’interno dei confini dell’Ue, o non riescono nemmeno a superarli, rimanendo così “arenati” alla sua periferia, in Europa orientale. Storie, analisi e raccomandazioni ai “decision makers” dell’Unione.
“Ci siamo imbarcati in Turchia per arrivare in Grecia. In mare una motovoedetta greca ci ha intercettati. Non so se fossero della marina o agenti di confine, ma hanno tolto il motore alla nostra barca e ci hanno lasciati al nostro destino. Per fortuna dei pescatori ci hanno soccorso e ci hanno portati fino all’isola greca più vicina. Là però siamo stati arrestati dalla polizia e messi in detenzione senza una procedura regolare”.
E’ quanto ha testimoniato un giovane eritreo intervistato dagli operatori del Jesuit Refugee Service (Jrs)-Europe. La sua denuncia è riportata nel rapporto Safe and secure. How do Refugees Experience Europe’s Borders? presentato di recente dal Jrs-Europe a Bruxelles, dove ha sede l’organizzazione.
La vicenda del giovane eritreo riassume “l’amara realtà del gran numero di persone che arrivano in Europa in cerca di protezione da violenze, torture o altre violazioni dei diritti umani – afferma il Jrs -. Gli intercettamenti, le espulsioni nei Paesi d’origine o in quelli di transito, la morte per annegamento sono i rischi a cui questi fuggiaschi vanno incontro… Ma neanche in territorio europeo i richiedenti asilo possono sempre sentirsi al sicuro”. Quest’ultimo riferimento è, ovviamente, alla normativa “Dublino II“, che presuppone la teorica equivalenza dei sistemi di accoglienza nei vari Paesi dell’Unione, ma che, nei fatti, respinge molti richiedenti verso Paesi che offrono “povere misure d’asilo” (Italia inclusa).
Arenati in Ucraina
Il rapporto del Jrs denuncia, con un’altra vicenda, anche la situazione dei richiedenti asilo che non riescono nemmeno a superare i confini dell’Ue, rimanendo “arenati” alla sua periferia, nell’Est Europa.
Hakimi Marina, 38 anni, alla fine degli anni ’90 è fuggita dall’Afghanistan con la famiglia. Attraverso il Pakistan ha raggiunto il Turkmenistan e poi il Tagikistan, che però la famiglia ha deciso di abbandonare perché là correva il rischio di essere rimpatriata in Afghanistan. Ma al confine con la Russia la famiglia di Hakimi, in viaggio su due auto, viene fermata e divisa: l’auto con uno dei figli piccoli può proseguire, lei e il marito vengono respinti e poco dopo rimpatriati. I sospetti delle autorità talebane e, soprattutto, la situazione di guerra seguita all’invasione degli Usa con i loro alleati nel 2002 li espone a vendette e ritorsioni. Hakima e i suoi ripartono, e nel 2009 riescono a entrare in Russia e poi in Ucraina.
Lì Hakima e il marito decidono di raggiungere i familiari che erano riusciti a passare in Russia al primo tentativo con uno dei loro figli, e che ora vivono in Germania. Ma sono nuovamente intercettati sul confine fra Ucraina e Polonia, e respinti in Ucraina. La coppia è arrestata e detenuta (con i figli che ha con sè) nel carcere della città di Lutsk per un mese. Viene poi trasferita in un centro di detenzione. Nel centro l’uomo, costretto a vivere separato dai familiari, è vittima di un pesante pestaggio da parte degli agenti di custodia per un’incomprensione linguistica e viene messo in isolamento. Solo dopo sei mesi Hakimi e la famiglia vengono liberati e accolti in un centro del Jrs a Lviv.
Ora i bambini possono andare a scuola e il figlio che ora vive in Germania, e che ormai ha 14 anni, ha potuto fare una breve visita ai genitori e ai fratelli. Ma già due domande d’asilo presentate da Hakimi sono state respinte. E le speranze per una riunificazione familiare sono scarse, “a causa delle attuali politiche dell’Ue e a causa dell’accordo di riammissione con l’Ucraina” sottoscritto dall’Ue nel 2007.
Trappola Europa
Al di là delle storie personali e familiari il rapporto Safe and secure: how do Refugees Experience Europe’s Borders? analizza in capitoli ad hoc il fenomeno degli “intercettamenti navali” di migranti, il sistema “Dublino II” (“una trappola intra-europea”) e le politiche di respingimento dell’Ue (dall’ambiguo ruolo dell’agenzia Frontex agli accordi di riammisione sottoscritti dall’Unione con i Paesi limitrofi), concludendo con una serie di “raccomandazioni”.
Vedi anche:
Tutto il “dossier” di Vie di fuga sul regolamento Dublino II
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