Roma. All’inizio di quest’estate è stato presentato in Parlamento il Piano Nazionale di integrazione per i titolari di protezione intenazionale. Il documento, atteso da anni, è stato presentato da Minniti al tavolo di coordinamento nazionale presso il ministero dell’Interno, dove siedono anche i rappresentanti del dicastero del Lavoro, delle Regioni e dei Comuni.
Punto fondamentale del documento, ancora non consultabile perchè in attesa di approvazione, è l’avvio del processo di integrazione fin dalla fase iniziale dell’arrivo in Italia del migrante, la cosiddetta prima accoglienza. Accoglienza e integrazione dovrebbero quindi andare di pari passo e non essere due percorsi a se stanti, compiuti in momenti differenti. E se ai più sembra un’ovvietà le vicende di cronaca italiana dimostrano quanto siamo lontani da un simile risultato. Proprio in queste ore si sta procedendo a Roma a un doppio sgombero di diverse decine di eritrei, riconosciuti rifugiati, prima dal palazzo che avevano occupato e poi dalle aiuole che li avevano accolti per la notte.
E se i fatti romani di questo fine agosto possono essere imputati all’assenza strutturale di politiche di lungo corso sul complesso tema dell’integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati a Roma non si può non citare le reazioni al Piano Nazionale di integrazione degli assessori regionali con delega all’Immigrazione di Liguria, Lombardia e Veneto che definiscono il Piano un documento di resa di fronte all’invasione di clandestini (clicca qui).
Per tornare al testo esso raccoglie tutte le esperienze già in corso a livello locale considerate «buone pratiche» e punta al concetto di peplicabilità. Le direttrici dell’integrazione, immaginata dal Viminale, sono sei: formazione, mediazione culturale, conoscenza della lingua, assistenza sanitaria, lavoro, dimensione abitativa. Ma sono trattati anche gli aspetti del ricongiungimento familiare e del dialogo interreligioso. Il lavoro è stato riconosciuto come nodo fondamentale anche dall’Unhcr che è stato chiamato a collaborare alla stesura del Piano.
La grande scommessa del piano è nella sua attuazione e questa volta sono coivolte moltissime realtà istituzionali e sociali. “Non solo i prefetti e gli enti territoriali ma anche i ministeri della Salute, Istruzione, gli Affari Esteri, l’Oim (organizzazione internazionale per le migrazioni). Tirarsi indietro sarebbe inspiegabile”.
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