Il decreto immigrazione e asilo varato ieri in Consiglio dei ministri dovrà essere vagliato nei dettagli. Ma intanto non viene facile separarlo da un’atmosfera pre-elettorale, ancora una volta sbilanciata su supposte “esigenze” di sicurezza, di chiusura, di garanzie a scartamento ridotto, mentre le vere urgenze sarebbero altre: in Italia, fra l’altro, di fatto continuano a non esistere vie legali per arrivare a chiedere asilo in sicurezza.
Accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale. Accelerazione delle operazioni di identificazione dei cittadini extracomunitari. E contrasto dell’immigrazione illegale. Questi gli obiettivi dichiarati dell’ampio decreto legge che il governo Gentiloni ha approvato ieri in Consiglio dei ministri.
Il provvedimento istituisce 14 sezioni specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale presso i tribunali di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia: si occuperanno fra l’altro del contenzioso giudiziario sui dinieghi alle richieste di asilo.
Il decreto introduce poi misure per «la semplificazione e l’efficienza» delle procedure in Commissione territoriale e la «semplificazione e l’efficienza» dei procedimenti giudiziari in materia d’asilo e immigrazione. Qui, afferma una nota del governo, «si delinea un nuovo modello processuale basato sul rito camerale che delimita i casi nei quali si prevede l’udienza orale e riduce da 6 a 4 mesi il termine entro il quale è definito il procedimento con un decreto non reclamabile, ma ricorribile esclusivamente in Cassazione» (si abolisce cioè la chance dell’Appello).
I prefetti d’intesa con i Comuni promuoveranno il lavoro “socialmente utile” e gratuito dei richiedenti asilo, «su base volontaria» e sulla base di progetti presentati dai Comuni e da finanziare con fondi europei.
Ma guarda, gli hostpot…
Ancora, per l’identificazione e la definizione della «posizione giuridica» dei “migranti” sbarcati in Italia il decreto prescrive di «individuare» centri, tra quelli destinati alla prima accoglienza, «ove allocare i flussi di migranti per le esigenze di soccorso e prima accoglienza», con fotosegnalamento e rilevamento delle impronte digitali. Il comunicato di Palazzo Chigi parla al futuro, ma queste realtà in Italia esistono già dal 2015 (in una dubbia cornice di legittimità giuridica): sono ovviamente gli hotspot.
Infine arrivano i “nuovi CIE” ripetutamente annunciati. Sotto la definizione di «Centri di permanenza per il rimpatrio» dovranno avere una distribuzione omogenea sul territorio nazionale. «Sentiti i presidenti delle Regioni interessate» saranno aperti in strutture pubbliche «convertibili allo scopo» e «facilmente raggiungibili».
“CIE, lavori ‘utili’? Le urgenze sarebbero altre”
Il decreto dovrà essere vagliato nei suoi dettagli. Ma per il momento non viene facile, purtroppo, separarlo da un’atmosfera pre-elettorale, (quasi) tutta sbilanciata su supposte “esigenze” di sicurezza, di chiusura, di riduzione di garanzie.
Registriamo per ora un unico commento a caldo, quello del Centro Astalli di Roma: «Lavori socialmente utili, hotspot, CIE sono misure volte più a mostrare un efficientismo politico che a gestire in maniera seria e lungimirante un fenomeno complesso che potrebbe avere effetti e ricadute positive nella nostra società… Si è molto concentrati sul velocizzare espulsioni e rimpatri di chi soggiorna illegalmente ma non si affronta il tema principale: le quote di ingresso dei lavoratori migranti non vengono attivate ormai da diversi anni. Non esistono vie legali per arrivare a chiedere asilo in sicurezza. Queste sono le principali urgenze da affrontare, ormai da tempo. Oggi in Italia per i migranti non c’è modo di entrare legalmente né per lavorare né per chiedere protezione da guerre e persecuzioni».
No comment yet, add your voice below!