di Marco Calabrese
Anche a Torino è iniziata la prima accoglienza in famiglia dell’associazione Refugees Welcome Italia, attiva nel capoluogo piemontese da marzo. Abbiamo incontrato la famiglia che ha accolto Lakhamy, rifugiato senegalese.
Quando entriamo nell’appartamento Lakhamy e i figli di Paola e Massimo, sono sul divano. I due bambini stanno giocando con i lego insieme al loro “fratello” più grande. Sono passati già due mesi da quando Lakhamy è entrato a far parte di questa famiglia, ma il percorso di conoscenza con Refugees Welcome (clicca qui) è iniziato molto prima, a giugno, per l’esattezza. «Abbiamo conosciuto quest’associazione grazie alle indicazioni della prefettura, a cui c’eravamo rivolti per dare il nostro contributo in risposta a quanto sentivamo ogni giorno sugli sbarchi e le morti nel Mediterraneo» spiega Paola, «volevamo sentirci partecipi, dare una mano e quella offerta da Refugees Welcome ci è sembrata un’ottima occasione».
Così è iniziato il percorso di abbinamento: «ci sono due percorsi» mi spiega Erica, una volontaria dell’associazione «il primo è con il rifugiato,il secondo è con la famiglia. Li portiamo avanti parallelamente e creiamo degli abbinamenti che pensiamo possano funzionare. Solo a quel punto facciamo incontrare le famiglie e i ragazzi». Se poi entrambe le parti sono d’accordo si inizia con la convivenza. In più, Refugees Welcome prevede la possibilità di usufruire di un sussidio garantito attraverso campagne di micro crowdfunding, qualora la famiglia che intende accogliere il rifugiato ne faccia richiesta.
E questa convivenza sta andando decisamente bene: « è un ragazzo a modo» continua Paola, «ci ha subito fatto un’ottima impressione, che è stata poi confermata in questi due mesi. È molto autonomo, anche per quel che riguarda la ricerca del lavoro». E così Lakhamy ci racconta del suo lavoro di sarto e di come, dopo una breve esperienza in una cooperativa, abbia faticato, e non poco, nel trovare altri impieghi. Oggi, dopo un mese di lavoro al mercato, è ancora disoccupato e quando gli chiedo dove vorrebbe trascorrere il suo futuro, la risposta è semplice: «In Italia, magari lavorando. Il Senegal non è sicuro adesso».
«E come ti trovi con i bambini?» chiede Erica. Lakhamy sorride timidamente, non è abituato a così tante domande. «Vanno molto d’accordo» ci dice Paola «in particolare quando c’è da giocare a pallone. Lakhamy è molto bravo e sta aiutando i bambini ad allenarsi». «Anche a noi sta molto simpatico, speriamo che resti con noi per tanto tempo!» risponde uno dei due, continuando a giocare con i suoi lego.
Si è fatto tardi e li salutiamo lasciandoli alla loro cena. Lakhamy è l’ultimo arrivato, ma è riuscito ad inserirsi perfettamente nei meccanismi familiari. Certo, il percorso di integrazione è lungo e non privo di difficoltà, ma il modello dell’accoglienza in famiglia portato avanti da associazioni come Refugees Welcome è sicuramente un’alternativa valida e efficace rispetto ai consueti centri. La famiglia è il luogo di spazi, momenti e valori condivisi, nonché una porta aperta verso la nuova realtà che i rifugiati si trovano costretti ad affrontare: in questo modo, la tendenza alla ghettizzazione e alla separazione, che inevitabilmente si riscontra nei centri, potrebbe essere diminuita e magari eliminata del tutto.
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