Popolazione: 4.422.000 ab. (stima ONU 2009)
Capitale: Bangui
La Repubblica Centrafricana è un paese senza sbocchi sul mare situato nel cuore dell’Africa centrale. La Repubblica Centrafricana confina a ovest con il Camerun, a nord con il Ciad, a nord-est con il Sudan, a est con il Sudan del Sud e a sud con Repubblica Democratica del Congo e Repubblica del Congo.
Tipo di governo e politica recente
Indipendente dal 1960, anno dell’affrancamento ufficiale dal dominio coloniale francese, la Repubblica Centrafricana è stata governata, nei trent’anni successivi, da figure autoritarie, succedutesi le une alle altre tramite colpi di stato. Nel 1993 le prime elezioni multipartitiche – svoltesi sotto il controllo della comunità internazionale – vedono l’affermazione di Ange-Félix Patassé il quale riesce, nonostante il calo dei consensi dato dal diffondersi di corruzione e clientelismo, a farsi confermare alla guida del paese nel 1999. L’insofferenza per il governo Patassé si traduce in un primo, fallito tentativo di colpo di stato (2001) seguito da una dura rappresaglia.
Patassé deve però arrendersi al golpe successivo, guidato nel 2003 dal generale Bozizé (foto George Gobet/AFP), il quale, una volta guadagnato il potere, procede a convocare in breve tempo un Consiglio Nazionale di Transizione a larga base rappresentativa per riscrivere la costituzione.
Malgrado ciò, il colpo di stato di Bozizé è ampiamente osteggiato dal movimento Union des forces démocratiques pour le rassemblement (Unione delle Forze Democratiche per l’Unità) capeggiato da Michel Djotodia e il dissenso prende, in breve tempo, la forma di una lotta armata. Nonostante l’opposizione di Djotodia, Bozizé, nel maggio 2005, vince le nuove elezioni, convalidate dalla comunità internazionale.
La prima guerra civile Centrafricana
Il 2006 vede l’acuirsi degli scontri nel nord del paese, fatto che porta Bozizé a chiedere, ottenendolo, il sostegno delle truppe francesi. A seguito della presa di alcune città da parte dei ribelli dell’UFDR e all’intensificarsi degli scontri, il conflitto è ribattezzato Prima Guerra Civile Centrafricana. Nel 2007, dopo un anno di combattimenti svoltisi nella zona della città di Birao vengono promossi una serie di accordi tra il governo e l’UFDR, tra i quali spicca il riconoscimento del movimento ribelle e la sua integrazione nel panorama politico nazionale.
Il conflitto ha però prodotto, assieme ad un numero non precisato di vittime civili, più di duecentomila sfollati: l’incapacità del governo di far fronte a questo dramma collettivo e il reiterarsi, secondo l’UFDR, di abusi ed episodi di violenza nel nord del paese portano alla riorganizzazione del fronte dei ribelli – poi conosciuto come Seleka (Coalizione, in lingua sango) – e a una nuova serie di scontri, culminati nell’offensiva antigovernativa del dicembre 2012 che ha portato alla conquista della capitale Bangui (marzo 2013), all’esautoramento di Bozizé e alla presa del potere da parte di Djotodia, divenuto nel frattempo leader del movimento Seleka, il quale si è autoproclamato Presidente della Repubblica il 25 marzo 2013 (foto Sia Kambou/AFP).
Il trionfo del movimento ribelle non è comunque riuscito a garantire la stabilità del paese, dati il permanere di sacche di lealisti fedeli a Bozizé e il manifestarsi dello scontento degli stessi partiti di opposizione, preoccupati e insoddisfatti del predominio assoluto accordato ai rappresentanti del Seleka all’interno del governo Djodotia.
Un altro duro colpo al nuovo governo è dato, il 3 aprile 2013, dai leaders dei paesi africani riunitisi in Ciad, i quali non hanno riconosciuto la presidenza di Djotodia, sottoscrivendo la proposta di elezioni da svolgersi a breve termine (ottobre 2014) con la designazione di Djotodia come leader ad interim, non candidabile alle stesse consultazioni. Djotodia ha accettato e nel settembre 2013 ha annunciato la dissoluzione del Seleka. Tuttavia molte delle milizie hanno continuato ad operare sul territorio a briglia sciolta, saccheggiando villaggi e rendendosi responsabili di stupri e omicidi. Circa 400.000 persone sono scappate nella savana nel tentativo di sfuggire alle bande e in 68.000 hanno cercato rifugio oltreconfine. Nel novembre 2013, dato l’acuirsi degli scontri tra Seleka e Anti-Balaka (anti-machete, un movimento di autodifesa formatosi spontaneamente), le Nazioni Unite hanno paventato lo spettro del genocidio, approvando il 4 dicembre 2013 una risoluzione con la quale si è concesso ai peacekeepers della MISCA (Mission Internationale de Soutien à la Centrafrique sous Conduite Africain) la possibilità di utilizzo delle armi per la difesa dei civili. A poche ore dal voto favorevole, il presidente francese François Hollande ha annunciato l’immediato invio di truppe per fermare le stragi. Tuttavia, malgrado le azioni intraprese dalla comunità internazionale, la situazione non ha conosciuto miglioramenti significativi: ciò a messo sotto pressione Djotodia, il quale a rassegnato le dimissioni da Capo del governo di transizione il 10 gennaio 2014.
Il Consiglio Nazionale di Transizione ha così eletto come sua nuova presidentessa Catherine Samba-Panza, sindaco di Bangui, scelta per la sua equidistanza dalle fazioni in lotta. In realtà, anche questa ultima mossa sembra essersi rivelata poco efficace.
Il 23 luglio 2014, i belligeranti hanno firmato un accordo di cessazione delle ostilità a Brazzaville, lasciando tuttavia il Paese diviso in regioni controllati da milizie « sulle quali né lo Stato né la missione dell’ONU hanno presa ».
In occasione delle elezioni presidenziali del 2015-16 è stato eletto Capo dello Stato Faustin-Archange Touadéra, il quale aveva lanciato un processo di riconciliazione nazionale per rendere giustizia alle vittime delle guerre civili, per la maggior parte dislocate all’interno e all’esterno del Paese. A tal fine, ha incaricato per decreto il suo ministro Regina Konzi Mongot di elaborare il Programma nazionale di riconciliazione nazionale e di pace, proposto nel dicembre 2016, adottato in seduta stante all’unanimità dagli organismi internazionali. Viene istituito un comitato per giudicare i principali attori e risarcire le vittime ma il conflitto rimane lontano dall’essere definitivamente sedato e gli episodi di violenza rimangono all’ordine del giorno.
Il Presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadéra decide di accogliere i paramilitari dell’esercito privato russo Wagner nel 2018, con l’intento di riprendere il controllo del Paese dai vari gruppi di ribelli. Wagner ha iniziato così ad addestrare le forze armate del Paese. Il Presidente ha nominato un russo, Valery Zakharov, suo consigliere per la sicurezza nazionale. Touadéra è stato rieletto nel 2020 e,gli istruttori russi hanno avuto un ruolo centrale nelle elezioni, svolgendo di fatto il ruolo di sicurezza del processo elettorale. Da allora, tuttavia, i combattimenti sporadici in tutto il Paese non sono cessati e alcune parti del Paese rimangono fuori dal controllo del governo.
La Missione Integrata delle Nazioni unite per la stabilizzazione nella Repubblica centroafricana (Minusca) è stata incaricata di un’indagine sul presunto massacro di 10-15 persone da parte delle forze russe e forse del Gruppo Wagner nei villaggi di Gordile e Ndah nella Repubblica Centrafricana. Gli esperti delle Nazioni Unite nel loro rapporto del giugno 2021 sul Paese africano, avevano indicato gli “istruttori” mercenari russi come responsabili di numerose violazioni del diritto umanitario internazionale, come uccisioni indiscriminate, torture, violenze sessuali e saccheggi su larga scala. La Russia ad oggi sta impedendo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di nominare nuovamente degli esperti Onu che possano monitorare tali crimini.
Profughi, sfollati e rifugiati
La Repubblica Centrafricana è un paese che non ha mai trovato pace, segnato fin dai suoi primi anni di vita da colpi di stato militari, ribellioni e rappresaglie. Ma fino al 2012, a dispetto della situazione generale, la Repubblica Centrafricana aveva sempre mantenuto entro i suoi confini un sistema di asilo quantomeno funzionante che è arrivato ad occuparsi di circa 12.000 rifugiati, distribuiti in tre campi di accoglienza e dotati ciascuno di un documento di riconoscimento.
Ad oggi la situazione appare ben più drammatica e circa una persona su tre nella Repubblica Centrafricana è sfollata (Fonte: Norwegian Refugee Council). Dalla fase acuta della guerra civile, nel biennio 2013 – 2014, ad oggi, quasi un milione e mezzo di persone è stato costretto a lasciare la propria casa e rifugiarsi nei Paesi confinanti. L’UNHCR nel 2022 ha sollecitato la creazione di un meccanismo regionale in supporto dei profughi, un passo fondamentale per una delle più grandi crisi umanitarie del continente africano.
Dal 2013, la RCA ha vissuto ripetute crisi che hanno colpito sei Paesi confinanti che ad oggi ospitano circa 700.000 rifugiati, che hanno trovato dimora in Camerun (345.000), in Repubblica Democratica del Congo (212.000), Ciad (119.000), Repubblica del Congo (29.000), Sudan (28.000) e Sud Sudan (2.500).
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