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Parigi 2024: mi hai accolto? E io ti vinco una medaglia

Ai Giochi di Parigi 2024 il coraggio e la resilienza dei rifugiati non hanno brillato solo sotto la bandiera dell’Olympic Refugee Team. Ad esempio l’atleta di origine iraniana Kimia Alizadeh ha gareggiato per la Bulgaria, portandole una medaglia. Sceso il sipario sulle Olimpiadi, i riflettori sono ora puntati sul Refugee Paralympic Team che parteciperà ai Giochi paralimpici dal 28 agosto.

 

Membri del Refugee Olympic Team a Parigi (foto CIO).

 

«Questi atleti hanno superato sfide immense, però il loro successo ricorda al mondo ciò che si può ottenere quando ai rifugiati viene data una mano perché possano inseguire i loro sogni»: Kelly T. Clements, vice-Alto commissario ONU per i rifugiati, che ha seguito la cerimonia di chiusura di Parigi 2024, domenica scorsa, gli occhi naturalmente rivolti alla rappresentanza del Refugee Olympic Team.

Alla prova dei fatti e del giganteggiare di altri problemi, dichiarazioni come queste rischiano di suonare un po’ facili e scontate. Ma non si può negarlo, esprimono una verità. Una verità purtroppo di piccoli numeri, e che però a Parigi non ci ha fatto vedere solo l’esultanza della pugile camerunense Cindy Ngamba, prima medaglia olimpica di sempre per la Squadra olimpica dei rifugiati.

Nell’atletica, il 10 agosto il sud-sudanese Dominic Lokinyomo Lobalu ha mancato per pochi centesimi di secondo il podio della finale maschile dei 5.000 metri, finendo quarto. Prima di quella gara, di nuovo un’atleta sud-sudanese, Perina Lokure Nakang, e il sudanese Jamal Abdelmaji avevano entrambi migliorato il proprio record personale rispettivamente negli 800 metri femminili e nei 10 mila maschili. Mentre in acqua tre canoisti hanno raggiunto i quarti di finale: si tratta del cubano Fernando Dayan Jorge Enriquez nella canoa maschile 1.000 metri, dell’iraniano Saeid Fazloula nel kayak maschile sempre dei 1.000 metri e della sua compatriota Saman Soltani nel kayak femminile 500 metri.

Un bronzo inedito per la Bulgaria

Ma il coraggio e la resilienza dei rifugiati non hanno brillato solo sotto la bandiera dell’Olympic Refugee Team. L’atleta di origine iraniana Kimia Alizadeh, che della Squadra olimpica dei rifugiati aveva fatto parte a Tokyo 2020, a Parigi ha gareggiato per la Bulgaria e ha ricambiato l’ospitalità del Paese balcanico conquistandogli la sua prima medaglia di sempre nel taekwondo: bronzo nella categoria femminile dei 57 kg.

E c’è anche la squadra maschile di basket del Sud-Sudan: composta da ex rifugiati tra cui Wenyen Gabriel, nato in Sudan, ai Giochi di Parigi ha rappresentato l’Africa battendo Porto Rico prima di perdere contro Serbia e Stati Uniti in un difficile girone eliminatorio.

Il Refugee Olympic Team è stato creato dal CIO e dall’Olympic Refuge Foundation (ORF) con il supporto dell’UNHCR e ha fatto la sua prima apparizione ai Giochi di Rio 2016.

Sceso il sipario sulle Olimpiadi, i riflettori sono ora puntati sul Refugee Paralympic Team, composto da otto atleti e da un guide runner per non vedenti che, sempre nella capitale francese, parteciperanno ai Giochi paralimpici dal 28 agosto all’8 settembre.

I GESTI/ La protesta di Kimia e Manizha

Resteranno negli annali delle ultime Olimpiadi anche i gesti poco protocollari ma particolarmente forti e coraggiosi di due atlete. Prima di tutto quello della velocista afghana Kimia Yousofi (rifugiata in Australia, ha potuto gareggiare a nome del proprio Paese benché rifiutata dal regime oggi al potere), che è arrivata ultima nella sua batteria dei 100 metri ma ha mostrato al mondo tre parole vergate sul retro del proprio pettorale a nome di tutte le concittadine escluse e umiliate dai talebani: “Education” e “Our rights“.

Ma c’è anche quello di Manizha Talash, anche lei afghana. Ha lasciato il Paese come Yousofi nel 2021 ed è stata inserita nel Refugee Olympic Team di Parigi 2024 per la debuttante disciplina del breaking (la break dance). Dopo la sua prova ha esibito sulla schiena una stola azzurra con la scritta “Free Afghan women“. Però il CIO per questo l’ha squalificata: violazione dell’art. 50 dell’Olympic Charter, che vieta i gesti di «propaganda politica» nei siti olimpici. Mah…

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