Non è facile catalogare, costringere in categorie e definizioni persone e popoli in movimento. Ma spesso è necessario. Il Glossario rivisto e aggiornato di Vie di fuga. E qualche considerazione sulla differenza fra rifugiati e migranti.
«Un glossario è sempre necessario per delineare i confini in cui si muove un’analisi, una ricerca, un’inchiesta. Il glossario pone le basi della trasparenza delle informazioni e della chiarezza, soprattutto su termini usati spesso in modo approssimativo e quindi a rischio di pesanti confusioni». Sono le parole che ormai da anni introducono il Glossario di Vie di fuga. E rimangono valide e attuali oggi che il Glossario va on line in veste ampliata e aggiornata: da Apolide a Triton (operazione), passando per Convenzione di Ginevra, Centri, Eurodac, Frontex, Hotspot (una inquietante new entry degna dell’ultima edizione dello Zingarelli), Mare Nostrum ecc.: 31 voci suddivise in sei micro-sezioni, Generalità, Convenzioni protocolli e regolamenti, Persone, Luoghi, Istituzioni e Operazioni.
Perché cercare di usare bene le parole è importante. Come ad esempio nella distinzione fra rifugiato e migrante (un termine, quest’ultimo, che rimane fuor di Glossario). Al culmine della drammatica estate 2015 una nota dell’UNHCR osservava: «È sempre più comune vedere i termini rifugiato e migrante usati in maniera intercambiabile, sia tra i media che nei dibattiti. Ma tra le due parole c’è una differenza? E se c’è, è importante? Sì, c’è una differenza e sì, è importante».
Fare confusione? È negare diritti
Propriamente è rifugiato chi è costretto a fuggire da guerre e persecuzioni e ottiene una particolare protezione in un Paese diverso dal quello d’origine sulla base della Convenzione di Ginevra del 1951. L’UNHCR e molti altri hanno scelto, per chiarezza, di adoperare questo termine per indicare tutte le persone che fuggono dal loro Paese (e sono la netta maggioranza nei flussi attuali verso l’Europa) con questo vissuto e con questo diritto. Per semplicità, inoltre, spesso si usa questa parola per indicare sia il rifugiato in senso stretto, sia la persona con lo status di protezione sussidiaria che quella di protezione umanitaria.
Invece, distingue l’UNHCR, «i migranti (spesso etichettati, in aggiunta, coll’infelice aggettivo economici, ndr) scelgono di spostarsi non a causa di una diretta minaccia di persecuzione o di morte, ma soprattutto per migliorare la propria vita attraverso il lavoro, o in alcuni casi per l’istruzione, per ricongiungersi con la propria famiglia o per altri motivi».
«Assimilare rifugiati e migranti può avere gravi conseguenze per la vita e la sicurezza dei rifugiati – avverte l’Alto Commissariato ONU –. Confondere i due termini svia l’attenzione dalle specifiche protezioni legali di cui i rifugiati hanno bisogno. Può minare il sostegno dell’opinione pubblica ai rifugiati e al diritto d’asilo, proprio nel momento in cui moltissimi rifugiati hanno più che mai bisogno di tale protezione. Dobbiamo trattare tutti gli esseri umani con rispetto e dignità, dobbiamo garantire che i diritti umani dei migranti siano rispettati. Allo stesso tempo dobbiamo anche offrire un’adeguata risposta giuridica per i rifugiati, a causa della loro particolare situazione».
La nostra lingua possiede anche il sostantivo molto comune di profugo, colui chi lascia il proprio Paese a causa di guerre, invasioni, persecuzioni o catastrofi naturali. È però un termine più generico, perché non fa riferimento alla dettagliata normativa internazionale, europea e nazionale, e quindi ai diritti, che proteggono il rifugiato.
Fuggire o morire
Tutto questo per la precisione terminologica richiesta dal diritto e dalle istituzioni. Anche se, in fondo, non è mai facile catalogare, costringere in categorie persone e popoli in movimento.
Queste, ad esempio, le considerazioni dell’Ong Medici per i diritti umani in occasione della pubblicazione di una ricerca sulle rotte migratorie dai Paesi subsahariani:«Dall’analisi delle storie individuali, risulta evidente che la tradizionale dicotomia tra rifugiati e migranti economici sembra essere più un concetto astratto che uno strumento in grado di comprendere adeguatamente una realtà così complessa. È indubbio, ad esempio, che i richiedenti asilo provenienti dall’Africa occidentale partono in cerca di una vita migliore, ma allo stesso tempo la gran parte di loro – allo stesso modo degli Eritrei che fuggono da una dittatura brutale – è in fuga da una moltitudine di drammatiche circostanze che rappresentano spesso una minaccia per la stessa vita. Indipendentemente dal Paese di origine, molti di loro devono dunque essere senza dubbio considerati migranti forzati».
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