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Salvataggi in mare: il sollievo, i dubbi di illegalità, il messaggio

Alla fine del caso Sea Watch e Sea Eye è stato il momento del sollievo, certo, ma anche di riflessioni amare. Si profila un quadro di illegittimità e di disprezzo della normativa internazionale, comunitaria e nazionale nel modo in cui la vicenda è stata gestita. Mentre dalle diocesi italiane arriva un messaggio: le famiglie devono essere accolte insieme, unite, non a pezzi (semaforo verde per qualche donna e bambino, e agli uomini ci pensi qualcun altro…).

(Foto FCEI 2018).

Dopo la débacle, sì, débacle umanitaria del caso Sea Watch e Sea Eye risolto in extremis, oggi il commissario europeo per la Migrazione e gli Affari interni Dimitris Avramopoulos incontrerà a Roma il premier Conte.

Certo, nei giorni scorsi è stato il momento del «sollievo», come ha commentato don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, alla notizia dell'”accordo europeo” (sì, insomma, se vogliamo chiamarlo così) sui 49 migranti e rifugiati raccolti in mare a dicembre dalle due navi di Sea Watch e Sea Eye e che finalmente, il 9 gennaio, hanno avuto l’autorizzazione a sbarcare a Malta.

Però è stato anche il momento di riflessioni sconcertate e un poco amare.

Non si tratta certo «di una vittoria degli scafisti, non si tratta di terroristi, di delinquenti», ha sottolineato De Robertis a Vatican News, e non è possibile che sia la povera gente a pagare «le divisioni fra le nazioni europee», gli «egoismi nazionali» e i «calcoli elettorali».

(Foto Sea Eye 2018).

Facendo riferimento alla recente adozione del Global compact sulla migrazione, il direttore della Migrantes ha ricordato: «La realtà delle migrazioni si può affrontare solo insieme… Le migrazioni devono essere sicure, legali e ordinate». Non si può pensare che il problema si risolva semplicemente impedendo gli sbarchi: «Bisogna andare alla radice di queste realtà, vedere le condizioni in cui si trova una buona parte dell’umanità. E agire in questo ambito, dalla vendita delle armi a una maggiore giustizia sociale». Purtroppo l’avvicinarsi delle elezioni europee «non aiuta a guardare con obiettività la realtà», e tanti sono tentati di «cancellare il volto umano di queste persone».

Secondo l'”accordo europeo” per i 49 migranti, subito seguito da un edificante scambio di accuse fra Roma e La Valletta, queste persone saranno redistribuite in otto Paesi dell’UE: Germania, Olanda, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania e Lussemburgo, più una dozzina in Italia, accolte dalla Tavola Valdese e dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) a proprie spese.

Accoglienza famiglie, istruzioni per l’uso

Nei giorni scorsi, oltre alla disponibilità della Diaconia valdese e della FCEI, anche in Italia non sono mancati gli appelli e le offerte di accoglienza a favore dei 49 migranti e rifugiati soccorsi da Sea Watch e Sea Eye a dicembre. Vie di fuga ha già dato notizia dell’appello di 18 associazioni e ONG laiche e cattoliche. Forte, per il preciso riferimento al caso, quello di Papa Francesco all’Angelus del 6 gennaio. Si è registrata, fra le altre, la disponibilità all’accoglienza del Comune di Napoli, quella della Comunità Papa Giovanni XXIII. E ancora una volta, dopo il caso estivo della nave Diciotti, quella della Diocesi di Torino: il giorno dell’Epifania il vescovo Cesare Nosiglia ha espresso pubblicamente «la disponibilità della Chiesa torinese ad accogliere alcune delle famiglie che si trovano a bordo delle navi» “Sea Watch 3” e “Professor A. Penck” (il vascello di Sea Eye). Poco dopo, a margine, Nosiglia ha precisato: «Famiglie, eh, perché bisogna accoglierle unite…». In quei giorni, il vicepremier Giuseppe di Maio “apriva” agli appelli di Chiese e società civile ventilando la possibilità di accogliere in Italia alcuni «bambini e mamme».

Caso “risolto”, dunque. Ma per molti fra cui l’UNHCR rimane «inaccettabile» che la soluzione sia arrivata così tardi, a 18 giorni dal primo dei due salvataggi, quello compiuto il 22 dicembre dalla nave Sea Watch 3.

«Il salvataggio in mare non termina quando si recupera qualcuno dall’acqua, le persone soccorse devono essere portate a terra e in un luogo sicuro il più rapidamente possibile – ha aggiunto Filippo Grandi, Alto commissario ONU per i rifugiati -. L’imperativo di salvare vite umane viene prima della politica e non può rappresentare una responsabilità che viene negoziata caso per caso». Perché continua a mancare, sempre secondo l’UNHCR, «un sistema condiviso e prevedibile per lo sbarco delle persone soccorse nel Mediterraneo», perché «continua a prevalere un approccio ad hoc e le persone salvate aspettano giorni o settimane prima di poter sbarcare a terra».

“Porti chiusi?” …Ma dove?

Il caso Sea Watch e Sea Eye è stato solo l’ultimo di uno «stillicidio ormai costante in spregio del diritto».  L’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) ha ravvisato nella cronaca di quanto avvenuto nei giorni scorsi, in sostanza i rifiuti allo sbarco in porti sicuri collezionati da persone anche particolarmente vulnerabili (donne e bambini), gravi violazioni della Convenzione SAR sulla ricerca e il soccorso in mare ratificata dall’Italia nel 1989, della Convenzione SOLAS sulla salvaguardia della vita umana in mare ratificata dall’Italia nel 1980 e della Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, ratificata nel 1994. Ma anche dell’art.2 (diritto alla vita) e dell’art. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, oltre che del principio di non refoulement e del diritto ad accedere alla procedura d’asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dall’art. 10 c.3 della Costituzione italiana». L’Associazione si dice ora pronta «a supportare e promuovere ogni azione giudiziaria» sulla vicenda nelle sedi competenti e ha lanciato un appello.

Sempre l’ASGI ha informato il 10 gennaio di aver eseguito sei azioni di “accesso civico” presso il ministero dell’Interno e il ministero delle Infrastrutture e trasporti in merito alla dichiarata chiusura dei porti italiani nelle vicende riguardanti la nave militare Diciotti e le navi della ONG Proactiva Open Arms (a cui nel giugno ’18 è stato vietato l’attracco nei porti italiani). Dalle risposte dei due dicasteri emerge che essi non hanno adottato alcun provvedimento formale di chiusura dei porti. Secondo l’ASGI, dunque, «l’attuale politica del Governo italiano di gestione dei soccorsi nel Mediterraneo si muove al di fuori della legalità interna e internazionale».

 

Campagna anti-ONG “senza precedenti nel Primo Mondo”

«Le dichiarazioni del ministro Matteo Salvini – secondo il quale per cui l’accoglienza significa “agevolare il lavoro di scafisti e ONG”, posti sullo stesso piano – non sono forse una novità, ma sono la conferma di un imbarbarimento della politica e del suo linguaggio. Sono i governi autoritari a perseguitare le organizzazioni non governative e a ostacolare le loro attività, a incitare all’odio verso chi soccorre le persone in pericolo. La campagna del governo italiano contro le ONG, compresa Medici Senza Frontiere insignita del premio Nobel per la pace, non ha precedenti nei paesi democratici del Primo Mondo».

«[…] Anche un’altra dichiarazione salviniana indica quanto meno un pressapochismo inquietante: “Il traffico di esseri umani va fermato: chi scappa dalla guerra arriva in Italia in aereo, come già fanno in tanti, non con i barconi”. Chi scappa dalla guerra fugge come può, non ha la possibilità di procurarsi un visto, accedere a un aeroporto e prendere un aereo. Se non glielo impediscono gli eserciti in conflitto, provvediamo noi con le nostre politiche di contrasto degli ingressi. Solo i corridoi umanitari consentono l’arrivo sicuro e autorizzato di un piccolo numero di richiedenti asilo (all’incirca 2.000 persone fin qui, non i “tanti” dichiarati da Salvini), ma dopo che hanno già attraversato almeno una frontiera per cercare scampo in paesi confinanti. L’idea, condivisa da molte persone benintenzionate, che si possa programmare e regolare l’arrivo dei profughi non fa i conti con le logiche della guerra e delle persecuzioni, e neppure con quelle delle politiche migratorie».

«[Nel 2018] il governo (andrebbe aggiunto con l’appoggio di alcune procure siciliane) ha sistematicamente delegittimato e infangato le ONG impegnate nel salvataggio di vite umane in mare, nonostante le norme internazionali vietino di sbarcare persone soccorse in luoghi non sicuri come la Libia. Malgrado le diverse azioni giudiziarie intentate non abbiano fin qui dimostrato alcun comportamento criminale e molte accuse siano rapidamente cadute, il governo ha continuato a criminalizzare le ONG e a ostacolarne le attività. Ha proibito alle loro navi di accedere ai porti italiani, ha spinto Panama a revocare la registrazione della nave Aquarius, ha collaborato con la Libia nel cacciarle dalle acque del Mediterraneo».

Il sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini su Lavoce.info, contributi dell”11 gennaio 2019 e 18 dicembre 2018)

 

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