Le attività del sistema d’asilo greco hanno iniziato a riaprire il 18 maggio. Sono ancora detenuti in condizioni di sovraffollamento, sporcizia, scarso accesso a bagni, acqua e servizi sanitari i circa 2.900 migranti giunti in Grecia a marzo. Ma le autorità hanno almeno iniziato a registrare la loro intenzione di richiedere asilo.
di Pietro Derossi, maggio 2020, da Lesbo
Le attività del sistema d’asilo greco, sospese per via dell’emergenza virus, hanno iniziato gradualmente a riaprire dal 18 maggio. Al momento però gran parte del personale del Servizio di asilo greco e dell’Ufficio europeo per il supporto all’asilo è ancora in attesa a casa. È incerto se le interviste dei richiedenti asilo volte a vagliare la fondatezza della domanda di protezione internazionale torneranno ad essere calendarizzate secondo le modalità consuete; o se saranno, almeno in parte, condotte da remoto, ossia senza che vi sia la compresenza fisica di intervistatore, richiedente e interprete.
Un’immediata conseguenza della riapertura del Servizio di asilo è che le persone giunte in Grecia da aprile 2020 potranno finalmente presentare la loro domanda di protezione.
D’altra parte, alla riapertura degli uffici, migliaia di persone che attendevano da mesi o anni hanno ricevuto notifica dell’esito della propria domanda. Il periodo di lock-down è stato infatti utilizzato dall’Ufficio europeo per il supporto all’asilo e dal Servizio di asilo greco per smaltire gran parte dell’arretrato.
Gli aspiranti richiedenti asilo di marzo, tra violazioni e proclami politici
Una trattazione a parte merita quanto subito dai 2.927 migranti giunti in Grecia nel mese di marzo 2020, immediatamente dopo le dichiarazioni del presidente turco Erdogan circa l’apertura delle sue frontiere verso l’Europa. Come evidenziato in precedenti pubblicazioni, in palese violazione del diritto alla protezione internazionale, un decreto legislativo d’emergenza con efficacia di 30 giorni aveva privato queste persone della possibilità di presentare domanda di protezione internazionale, nonché disposto la loro automatica e indiscriminata detenzione in vista della deportazione verso il loro paese di origine o verso la Turchia.
Queste genti – incluse donne, bambini e minori non accompagnati – sono state dapprima temporaneamente detenute sulle isole di Samo, Chio, Lero e Lesbo e successivamente trasportate in due strutture chiuse nella Grecia continentale, precisamente a Kleidi (Serres) e Malakasa.
Oltre a condizioni di sovraffollamento, sporcizia, scarso accesso a bagni, acqua e servizi sanitari e medici, i migranti detenuti non hanno accesso a spazi aperti, come solitamente consentito persino a chi si trova in carcere per via di responsabilità penali. A metà maggio la detenzione di queste persone nelle condizioni descritte non risultava essere cessata.
Solo due minori siriani, dell’età di 12 e 13 anni, sono stati trasferiti in strutture di accoglienza il 7 e l’8 maggio a seguito di ripetute richieste rivolte alla Corte Europea dei diritti umani da parte della ONG “Refugee Support Aegean”.
D’altra parte, scaduta l’efficacia del decreto legislativo d’emergenza, le autorità hanno iniziato a registrare l’intenzione di queste persone di richiedere asilo, contraddicendo le roboanti dichiarazioni date alla stampa a marzo 2020.
Ancora una volta, la notoria promessa della politica di aumentare i rimpatri forzosi, data in pasto all’elettorato più inconsapevole, si palesa nella sua essenza di menzogna.
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