È della seconda metà del 2016 la vicenda di un giovane siriano, “Noori”, di 21 anni, raccolta da Amnesty International…
Studente di infermieristica, Noori è fuggito dalla Siria nel giugno 2016 dopo che l’ospedale in cui si formava e il suo villaggio erano stati bombardati.
Ha provato a entrare in Turchia quattro volte. Nei primi due tentativi riferisce di essere stato picchiato dai gendarmi turchi e poi ricacciato oltre il confine; nel terzo, il gruppo di profughi e migranti in cui si trovava è stato attaccato da un gruppo armato che ha aperto il fuoco, uccidendo una decina di suoi compagni.
Ce l’ha fatta la quarta volta, ma nell’instabilità seguita al tentativo di golpe del 15-16 luglio, e dopo essere stato aggredito e derubato due volte da trafficanti e ladri, ha deciso di proseguire verso l’Europa, dove ha dei parenti.
Sbarca a Lesbo a fine luglio, chiede asilo. Però la sua domanda viene ritenuta “inammissibile” con la motivazione che per lui la Turchia sarebbe un “Paese sicuro”. Il diniego è confermato in appello e Noori finisce in detenzione.
Almeno fino a gennaio 2017, formalmente nessun richiedente asilo è stato deportato in Turchia dalla Grecia per il criterio del “Paese sicuro”.
Ma a febbraio Noori, psicologicamente provato, era ancora in detenzione, in attesa di sentenza definitiva del Consiglio di Stato ellenico con altri due richiedenti asilo nelle sue stesse condizioni. Ha commentato: «Non mi sarei mai aspettato di finire in prigione una volta arrivato in Europa. Non capisco perché sono stato arrestato, ero venuto qui per rifarmi una vita…».
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