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Voci contro la tortura in un “luogo sicuro”: il mini-doc di MEDU

In vista della prossima Giornata internazionale per le vittime di tortura (26 giugno), Medici per i diritti umani ha realizzato il documentario breve “Un luogo sicuro: voci contro la tortura”. Sotto l’occhio della camera da presa, le vicende delle persone accolte al Centro Psyché “Francesca Uneddu” di MEDU. Dopo varie città italiane, il 26 giugno il mini-doc sarà presentato a Ragusa. *** Aggiornamento 26 giugno: on line il documentario completo ***

 

Un luogo sicuro: voci contro la tortura (Italia 2023, 13′) è un documentario breve realizzato per Medici per i diritti umani (MEDU) in preparazione alla Giornata internazionale per le vittime di tortura del 26 giugno. Sotto l’occhio discreto e partecipe della camera da presa di Benedetta Sanna, le storie delle persone accolte al centro Psyché “Francesca Uneddu” di MEDU “per la salute mentale transculturale”.

Alla coraggiosa testimonianza di due rifugiati, Rosa (anche se «questo non è il mio vero nome»), una donna fuggita da un Paese dell’America Latina, e Souleymane, fuggito dalla Guinea, fanno da contrappunto le osservazioni di due operatori del centro Psyché. 

Nel suo Paese Rosa ha subito 15 anni di carcere  e torture. Souleymane invece ha perso quasi tutta la famiglia in una persecuzione etnica. Dopo aver attraversato il deserto, è vissuto in schiavitù per anni in Libia. Quello che lui e Rosa hanno visto e sofferto li ha perseguitati fino in Italia. Ma la loro è la stessa voce di centinaia di migliaia di rifugiati e migranti sopravvissuti alla tortura e alla violenza estrema nei Paesi d’origine o lungo le rotte migratorie.

Sottolinea Alberto Barbieri, psicoterapeuta di Psyché e coordinatore generale di MEDU: «Parliamo di persone sopravvissute a molteplici eventi traumatici. In gran parte, si tratta di eventi traumatici interpersonali: vale a dire, non si tratta di incidenti stradali o di terremoti, ma di violenze dell’uomo sull’uomo. Che dal punto di vista delle conseguenze psicologiche sono molto più devastanti». 

Rosa, le unghie tinte di rosso, non mostra il suo volto. Però apre una minuscola scatoletta di ricordi e, misurando le parole, confida a voce bassa: «Sentivo la mancanza di tutto, dei miei cari, della terra, dell’odore della mia terra. Adesso mi sento meglio, sento che i giorni difficili sono diventati di meno e che la terapia mi ha dato degli strumenti per sapere cosa fare quando arriva la paura, la tristezza».

«Ho imparato che l’essere umano ha la capacità di fare al suo vicino danni che mai immaginavo – testimonia Souleymane a viso aperto -: ucciderti con tutta la famiglia per una scelta politica. Nel primo periodo qui in Italia non mi sentivo ancora al sicuro, sentivo tristezza e stress tutti i giorni. Poi a Psyché la percezione è cambiata: è cambitato il mio modo di vedere la gente».

A partire dal 2016, il centro Psyché ha offerto assistenza clinica e psicosociale a persone sopravvissute a torture e violenze provenienti da 59 Paesi di quattro continenti.

*** Aggiornamento 26 giugno: qui il documentario completo ***

All’anteprima di Torino/ “I servizi sanitari spesso ancora impreparati”

In queste settimane il mini-doc Un luogo sicuro: voci contro la tortura, realizzato con il sostegno dell’UNHCR, è stato presentato in varie città d’Italia (per contatti: comunicazione@mediciperidirittiumani.org). Il 26 giugno sarà presentato a Ragusa.

A maggio, nell’incontro-dibattito con vari operatori seguito all’anteprima di Torino nello spazio Binaria del Gruppo Abele, è emerso come gli operatori di MEDU abbiano ascoltato in sette anni centinaia di storie simili alle due raccolte nel video. «Possiamo immaginare lo sforzo dei protagonisti nel raccontarle – si è detto -. Dovrebbero essere portate nelle scuole, come antidoto all’informazione superficiale o distorta sui migranti. Storie di violenze che si sono consumate e si consumano tuttora». MEDU stima che abbiano subito violenze fino al 90% dei rifugiati e migranti arrivati in Italia dalla Libia: «Là mancano solo le camere a gas».

Altri interventi, invece, hanno denunciato come i servizi sanitari in Italia siano ancora sovente impreparati nel gestire le conseguenze psichiche di tortura e violenze estreme nei migranti e nei rifugiati. «Il disagio post-traumatico, la depressione che insorge per ciò che si è vissuto nei Paesi d’origine e sulle rotte migratorie non vengono riconosciuti, e così spesso il primo impatto con il servizio sanitario è questo: una pesante terapia farmacologica, poi il ritorno al centro di accoglienza, o la vita sulla strada. Che hanno conseguenze devastanti e, tra l’altro, costi sociali superiori a quelli di un accertamento e una presa in carico precoci».

 

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