Ameen al-Safa è un altro giornalista yemenita (v. in questa stessa sezione la testimonianza precedente). Nel 2014 ha iniziato a ricevere minacce di aggressione e morte per il suo lavoro quotidiano a Sana’a. Dopo aver lasciato lo Yemen nello stesso anno per l’Arabia Saudita, ha trovato asilo in Francia, dove ha potuto rivedere la sua famiglia solo l’anno scorso.
«La situazione oggi nel mio Paese? Il conflitto, anzi i conflitti, continuano su vari fronti e in vari siti, malgrado il cessate il fuoco proclamato ad aprile dalla coalizione araba a guida saudita. Purtroppo a livello internazionale non c’è la volontà di far cessare la guerra in Yemen: una guerra dimenticata, una guerra per procura fra Arabia e Iran. L’ONU l’ha definita la più grave tragedia umanitaria a livello globale. Hanno bisogno d’aiuto oltre 22 milioni di yemeniti. Quest’anno poi è arrivata l’epidemia di COVID-19, portandoci sull’orlo di una catastrofe ancora più grave: chi non muore per la guerra rischia di morire di fame, e chi non muore di fame rischia di morire per il coronavirus».
Ameen al-Safa, 41 anni, è un altro giornalista yemenita esule (vedi qui la vicenda del collega Ali al-Muqri). Vie di fuga in queste settimane lo ha raggiunto in Francia, dove ha lo status di rifugiato dal gennaio 2019. Anche lui, nello scorso autunno, ha partecipato a un incontro per la serie torinese “Voci scomode” che ha fatto conoscere la sua storia in Italia.
Nato a Sana’a nel 1979, Ameen inizia a fare il giornalista quando è ancora uno studente universitario. All’Università della capitale si laurea in giornalismo economico nel 2007. Nel 2008 entra a far parte di Saba, l’agenzia di stampa yemenita. Dal 2012 collabora con Al-Sharaa, uno dei maggiori quotidiani indipendenti del Paese, dove diventerà segretario di redazione e caporedattore. È anche membro del Sindacato yemenita dei giornalisti e della Federazione internazionale dei giornalisti.
Ma nel 2014 inizia a ricevere minacce di aggressione e morte per il suo lavoro ad Al Sharaa. Continua a scrivere fino alla caduta della capitale, nel settembre ’14. Un mese dopo decide di lasciare lo Yemen e parte per l’Arabia Saudita, dove rimane fino all’ottobre del 2017, quando prende un volo per l’Ungheria e arriva in Francia pochi giorni dopo, chiedendo asilo.
«Prima degli scontri fra governativi e ribelli Huthi, in Yemen la libertà di stampa non arrivava al cielo ma, dopo, la situazione si è fatta molto peggiore – racconta -. Sono arrivati tempi di vera e propria demonizzazione dei giornalisti, di repressione, prigione, tortura. A Sana’a esponenti ritenuti “nemici” e giornalisti erano presi di mira anche con pacchi bomba. Finivamo di lavorare a mezzanotte, e poi andavamo a controllare sotto l’auto con la torcia. Seguivamo la guerra con fonti di prima mano, e sia gli Huthi che i Fratelli musulmani ci accusavano di essere schierati contro di loro. Sono stato seguito più volte… E quando gli Huthi presero il controllo della capitale decisi che là non ci potevo più stare».
Per l’Arabia Saudita Ameen parte senza famiglia. «Là avrei dovuto ancora scrivere sulla guerra, ma temevo ritorsioni contro i miei. Tanto che mi sentii dire che stavo con gli Huthi, anche se ero scappato da loro. Così alla fine sono partito per l’Europa. Ho potuto riunirmi con i miei famigliari in Francia solo l’anno scorso, dopo quattro anni e mezzo di diaspora e di assenza: un giorno che non dimenticherò mai».
In collaborazione con la Maison des Journalistes di Parigi, Ameen al-Safa si è impegnato in un’attività di sensibilizzazione nelle scuole sull’importanza della libertà di stampa ed espressione. «Ho parlato agli studenti delle violazioni subite dai colleghi giornalisti nella nostra capitale e in altre città del mio Paese a partire dal 2014: con loro ho discusso, fra l’altro, delle statistiche su queste violazioni che vengono aggiornate dal Sindacato dei giornalisti yemeniti».
«È stata una bella esperienza soprattutto constatare la capacità di partecipazione di questi ragazzi – dice ancora al-Safa a Vie di fuga-. Ho potuto sentire il loro interesse per ciò che accade nelle guerre e nelle devastazioni che da noi hanno causato la morte e lo sradicamento di centinaia di migliaia di persone. È stato un impegno essenzialmente volontario che si è dovuto fermare con lo scoppio della pandemia di COVID-19: speriamo di poter ricominciare, alla fine di questo incubo…».
Yemen 2020, la situazioneAd oggi non esistono dati attendibili sulla diffusione del COVID-19 in Yemen. Ma per le Nazioni Unite il Paese è sull’orlo di un ulteriore aggravamento del disastro umanitario nazionale (v. anche nel riquadro di questo servizio di Vie di fuga) per via di un sistema sanitario già «al collasso». Cessate il fuoco, addio: nel principale conflitto oggi in corso nel Paese, quello fra governo “legittimo” appoggiato da una coalizione a guida saudita e “ribelli” Huthi sostenuti dall’Iran, il cessate il fuoco unilaterale proclamato dalla coalizione a guida saudita nello scorso aprile per l’emergenza COVID-19 si è dissolto a maggio senza diventare una tregua permanente. Sono 15 i giornalisti oggi detenuti arbitrariamente in Yemen. In gran parte, ma non solo, sono stati arrestati dagli Huthi. L’ultimo caduto sul fronte della libertà di informazione nel Paese è Nabil Hasan: giovane collaboratore dell’AFP, è stato assassinato il 2 giugno vicino a casa nella regione separatista di Aden (fonte Reporters sans frontières, 2020). Senza esclusione di colpi: «Dal 2015 tutte le parti coinvolte nel confitto in Yemen hanno commesso gravi e ripetute violazioni del diritto internazionale umanitario», ha riferito Amnesty International nel marzo 2020. Le forze Huthi hanno bombardato centri abitati e lanciato missili verso l’Arabia Saudita. La coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che appoggia il governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale, ha continuato a bombardare infrastrutture civili e a compiere attacchi che uccidono e feriscono centinaia di civili. |
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